Terza Puntata: Dopo Salalah iniziamo lentamente a risalire la costa dell’Oceano indiano.
Salalah (letto – cesso, cesso – letto, letto – cesso…ecc.): 1 km
18 Agosto
La mattina ci tocca una riparazione volante al tubo benzina della moto del Moro che piscia copiosamente ma non mi sento in perfetta forma e capisco che dopo anni di viaggi in lungo e in largo è giunto finalmente il mio turno. Mi fa male un po’ la pancia, mi assicuro che ci sia abbondante scorta di carta igienica in bagno, mando Daniela e il Moro in avanguardia esplorativa in città e mi ritiro nel cesso per una maleodorante azione di retroguardia che durerà tutta la giornata del 18 Agosto. Che m’avrà fatto male? Boh, forse le sveglie all’alba.
I due tornano con istruttivi resoconti e foto esplicative sulle abitudini locali.
19 Agosto. Salalah – confine yemenita – Salalah: 364 km
Mi sento meglio, non perfettamente ma sicuramente abbastanza bene per affrontare i circa 160 km che ci separano dal confine con lo Yemen.
C’abbiamo sempre ‘sta voglia di andare a vedere i confini…è una specie di malattia….chissà poi perché…mah!
La strada costiera è, nonostante la fitta pioggerellina, molto suggestiva. Il mare alla nostra sinistra è incavolato nero e s’infrange con violenza sulle scogliere sottostanti.
La strada è un continuo saliscendi tra le montagne a picco sul mare e regala anche inaspettati squarci di sole da noi accolti con smodato entusiasmo. Ci fermiamo a visitare i geyser d’acqua salata e poi riprendiamo il cammino verso lo Yemen.
Ci bloccano al primo posto di controllo dell’esercito. Sono abbastanza stupiti di vederci là. Quando scoprono che arriviamo dall’Italia ci fanno i complimenti, ci vietano le foto e ci avvertono del successivo posto di controllo che sarà, immagino, molto più severo.
Paesaggio decisamente bello con strade incise a suon di dinamite nelle montagne, macchie di verde e…SPETTACOLO! alberi d’incenso!
Al secondo posto di blocco dell’esercito la situazione precipita.
Quello che comanda si prende la moto del Moro e si va a fare un giro, Daniela viene interrogata, un altro mi punta il mitragliatore sul petto e pretende di salire in sella all’Africa, escono fuori minacciosi bicchierini pieni di tè alla menta insieme a macchinette fotografiche e telefonini e il cuoco dell’avamposto ci invita a pranzo.
Come fessi, pensando di trovare da mangiare più avanti lungo la strada, rifiutiamo e ce ne pentiremo amaramente.
Torna il milite con la moto del Moro apparentemente sana, foto di gruppo, strette di mano, passaporti restituiti e ciao.
Attenti! “Very dangerous road”.
Infatti non si vede un’acca, c’è una nebbia che non fa vedere nemmeno il manubrio! Procediamo a passo d’uomo finché la situazione non migliora. A terra è un pantano di fango e a mano a mano che ci avviciniamo al confine la strada perde letteralmente i pezzi.
L’Oman confina a nord con gli Emirati Arabi e con l’Arabia Saudita e a sud con la Cambogia, la Guinea o il Vietnam a scelta. Foresta pluviale, fango, vacche rimbecillite che scappano impazzite, scivolano sul fango, si rialzano sbilenche e si ributtano sulla strada. Uomini a torso nudo con il pareo alla vita, piantagioni di frutta tropicale, pioggia, mandrie di dromedari… pare di stare in un circo. Quando un santone indiano ci fa strani segni dalla finestra di una capanna sgangherata pensiamo di aver attraversato qualche star-gate.
Il Moro ha un punto Gps dove giace, spiaggiato, un elicottero militare mi pare di fabbricazione russa il che mi fa dedurre che sia yemenita. Lo raggiungiamo in uno di quelli che la guida definisce “pittoreschi villaggi di pescatori”. Io adesso vorrei prendere l’autore della guida e farlo stare una settimana in questo villaggio. Non aggiungo altro. Vi basti pensare che nonostante il nostro infimo livello, non siamo riusciti a trovare nemmeno un posto per mangiare.
Non senza qualche difficoltà di orientamento in mezzo a pioggia, nebbia, cacche di dromedario mucche rimbambite e fango scivoloso arriviamo al confine yemenita.
Due chiacchiere pure lì con i soldati e con degli yemeniti che c’invitano “di là” con seducenti racconti, breve riposo e via, di nuovo verso Salalah prima che faccia buio, con la prospettiva di rimanere senza benzina e… a pancia vuota, cosa che pare preoccupare Daniela e Luigi molto di più che rimanere a piedi…io c’avrò pure sonno ma questi pensano solo a mangiare!
Arriviamo quasi in folle al benzinaio e rientriamo in albergo. Cena e passeggiata serale, visita alla grande moschea e nanna.
Salalah – Thumrayt – Marmul – Shalim – Sharbithat
e un punto affacciato sull’Oceano indiano
(N 17° 53.769 – E 055° 42.013)
20 Agosto
Abbiamo un centinaio di km prima di dover prendere una decisione.
Una di quelle decisioni che possono cambiare un viaggio trasformandolo in uníavventura.
Tra circa 100 km a Thumrayt c’è una deviazione. Se continuiamo dritti riprendiamo la strada dell’andata, riattraversiamo líinferno e dopo 1.000 km, se non moriamo di caldo nel frattempo, riemergiamo dallíaltra parte.
Se giriamo a destra, in direzione Marmul ci addentriamo nei campi petroliferi dopodichè bisognerà seguire una fantomatica pista per Shalim che porta sul mare e lì provare a vedere se esiste una strada costiera.
Google Maps consultato a Roma prima della partenza non pare fiducioso.
Ma lo Sporcoendurista se non trova la strada non si scoraggia e se serve… LA TRACCIA.
All’ultimo benzinaio utile prima dell’ignoto, fraternizziamo con un paio di famiglie omanite di ritorno dalle vacanze a Salalah, foto, scambio di indirizzi, giretti sulla moto con i bambini e spillette italo-omanite barattate.
Poco prima di salutarci il capo famiglia entra nel negozio e riesce con una scatola di cioccolatini… mi sa che non si rende conto del caldo che fa.
Dopo una ventina di km già ci siamo persi nel dedalo di piste che formano un reticolo tra le varie stazioni di pompaggio dell’oro nero.
Per fortuna il Moro ferma un pick-up e si fa dare la giusta direzione. Oltre 150 km di piste dove ho modo di dimostrare la grande dimestichezza nella guida veloce su sterrati.
Mi accascio abbastanza onorevolmente su un sabbione improvviso.
A Daniela per fortuna rimane uno stivale incastrato tra moto e sabbia e così rimango fuori portata dalle sberle.
In 150 km non incontriamo nessuno eccetto due pick-up e un camion che, incrociandoci, ci salutano e ci danno indicazioni. Abbastanza provati arriviamo sul mare.
Mare… insomma… E’ l’Oceano indiano.
Spiaggia a perdita d’occhio ma non siamo soli… migliaia di granchi grossi come palle da tennis corrono liberi e felici sulla spiaggia. Uno spettacolo.
La strada finisce contro una montagna che síinfila a picco nel mare perciò prendiamo la tenda e la montiamo sulla spiaggia.
Tracce di pneumatici da fuoristrada ci consigliano di costruire una specie di campo minato intorno alla tenda per evitare di essere inavvertitamente travolti durante la notte da qualche escursionista meccanizzato: raccogliamo pietre, rami, tavole di legno e erigiamo una palizzata circolare tipo Fort Apache.
Notte tranquilla, cullato dal ruggito delle onde oceaniche che si abbattono sulla spiaggia illuminata da una scenografica mezzaluna, e dai concilianti ronfi di Daniela e Moroboschi.
(N 17° 53.769 – E 055° 42.013) – Al Duqm
21 Agosto
Siamo costretti a rientrare per cercare una strada che prosegua verso nord. Altri km di sterrato, altre spiagge di un bianco abbacinante, altri panorami sconfinati.
Sono ore difficili e dure, viaggiamo solitari, con temperature altissime e prendendo strade che non sappiamo dove portino esattamente. Mi accascio nuovamente in un passaggio veramente difficile irto di pietre taglienti e con un fondo traditore dove credo si sarebbero trovati in difficoltà anche enduristi più smaliziati.
Il Moroboschi non crede ai propri occhi dopo aver passato km e km a scansare pietre per farmi passare e Daniela medita di prendere lei la guida del mezzo dopo essersi trovata per la seconda volta in due giorni a culo per terra.
Comincia a fare buio quando arriviamo a Al Duqm. Ci indicano l’unico “hotel” nel raggio di 400 km.
Non crediamo ai nostri occhi! E’ un campo attrezzato con dei container dove alloggiano i tecnici delle imprese straniere impegnati nei cantieri circostanti. Manco il tempo di parcheggiare che arriva un fuoristrada con tre ragazzi sopra. Sono sommozzatori turchi che stanno lavorando alla costruzione di un porto e hanno visto le bandierine turche sulle moto. Ci abbracciamo gioiosi con grandi pacche sulle spalle.
Prendiamo alloggio nel container numero 3, quello identificato pomposamente come “suite”. In effetti l’interno è curatissimo, tv al plasma, macchinetta per il caffè, divani e poltrone in finta pelle e letto matrimoniale con lenzuola fresche di bucato e sovra copertina in simil seta. Condizionatore efficiente e silenzioso. Fuori ricomincia una tempesta notturna di sabbia da far tremare tutta la struttura. Noi, mangiato il tonno in scatola avanzato dall’anno scorso, ce ne stiamo al riparo sotto le coperte nel miglior “hotel” incontrato finora.
Al Duqm – tentativo imbarco Masirah – Ibra: 572 km
22 Agosto
La colazione è nel container di fronte dove facciamo la piacevole conoscenza con Francisco Alfonso. E’ un indiano che da 23 anni lavora in Oman. Va a trovare la famiglia in India una volta l’anno. Fa una tenerezza infinita. Gli facciamo un sacco di domande sulla sua vita e sulla sua famiglia in India e lui felice di tanta curiosità ci rifocilla a dovere con succhi di frutta, tè, pane tostato e una favolosa marmellata d’ananas.
Vento forte e di traverso, proseguiamo spediti. Siamo in dubbio se tentare lo sbarco sulla selvaggia isola di Masirah, regno di tartarughe e di cannibali. Si narra infatti che tutto l’equipaggio di un brigantino inglese naufragato sull’isola sia stato divorato dagli abitanti stufi del solito brodo di tartaruga. Ad un benzinaio dei surfers spagnoli ci dicono che l’isola è piena di italiani…Già c’avevamo poca voglia…arriviamo all’imbarco dopo decine di km di saline e lagune. Per motivi di sicurezza imbarcano solo una cisterna di carburante e viste le condizioni del mare, della cisterna e della chiatta, non è che ci disperiamo più di tanto… anzi. Ci consultiamo velocemente e considerati anche i giorni che ci rimangono decidiamo di rinunciare all’invasione di Masirah e puntare decisi verso Sur.
Il sole tramonta mentre arriviamo al bivio per Ibra. Ad Ibra mancano pochi km per Sur, invece, ancora più di 150. Mai guidare al buio! Uno sguardo e deviamo per Ibra. Hotel bello scalcinato ma con un ristorantino convenzionato da leccarsi le dita.
Ibra – Sur: 160 + 279 km
23 Agosto
I 160 km che ci separano da Sur ce li maciniamo velocemente, d’altronde non sono nemmeno le sette di mattina. Così come velocemente troviamo un buon albergo proprio al centro di Sur. Il concetto di “centro” nelle città omanite non esiste. In realtà anche il concetto di “città”, a parte Muscat e , forse, Salalah è molto lontano da come lo intendiamo noi. E’ difficile da spiegare. Sarà che non esistono palazzi antichi o monumenti o vestigia del passato a parte i fortini portoghesi tutti ristrutturati di recente e tutti uguali, cioè tutto quello che da noi è al centro della vita di un agglomerato urbano. In Oman è tutto un “centro” che al tempo stesso, però, non esiste.
Ci riposiamo un paio d’ore con il timore che nel frattempo il condizionatore voli fuori dal muro e poi usciamo per esplorare tutta la parte ad est di Sur, la punta più a est dell’Oman e protesa verso il sub continente indiano…dall’altra parte l’Iran il Pakistan e l’India…la zona è protetta in quanto vi nidificano le Caretta-Caretta. Ci spalmiamo solitari al mare per un bagno rigeneratore e, dopo aver chiesto gentilmente a dei ragazzi omaniti comparsi improvvisamente (guarda caso proprio nel momento in cui Daniela si stava rivestendo) di allontanarsi, ci rimettiamo in moto. Nonostante la crema fattore 50 e le varie protezioni individuali più o meno efficaci adottate, ci prendiamo una bella “incocciata”.
Gli sbalzi di temperatura sono notevoli: basta doppiare una punta tra Ras al Hadd e Ras al Jinz che da 45° si passa a 35°. Il vento soffia forte e fresco e ci rianimiamo un po’ tanto che, cammina cammina e guarda qui e guarda là, ci facciamo prendere la mano e facciamo 280 km per non vedere nemmeno una tartaruga. Il panorama però, con le onde oceaniche che s’infrangono sulle scogliere, è decisamente entusiasmante.
Al rientro a Sur ci facciamo indicare un buon ristorante… breve conciliabolo tra un omanita e un giordano e ci indicano “Ziki” il ristorante indiano. Ci accomodiamo nella sala riservata alle “famiglie” e finalmente ci concediamo una cena con i fiocchi.