Quarta puntata: La Transalpina e il Progetto TET.
Alle spalle Cabana Codrin appollaiata con le sue aquile a 1000 m s.l.m. sui Monti Retezat, davanti la strada punta alla piccola località di Obârşia Lotrului, è lì che siamo diretti, è lì che inizia una delle strade più belle della Romania: la Transalpina, sulle cartine è riportata come 67C.
La Transalpina
Un piccolo rivolo di un torrente gelato, un ponticello malmesso che porta sull’altra sponda, una casetta di legno con panni stesi ad asciugare al sole. E’ il primo e unico fotogramma limpido che resta dei primi kilometri della strada Transalpina. Poi iniziano le curve, la polvere secca e l’asfalto malamente rattoppatto con stracci di bitume e pezze di breccia. Saliamo su attraverso un fitto bosco di verde intenso tenendoci a debita distanza per non mangiare kili di polvere.
La strada è una superfice traforata di buche irregolari e qualche pezzo di asfalto rotto che singhiozza ogni tanto con qualche kilometro di sterrato. Sembra di guidare a Roma.
Mi precede una Suzuki V-Strom che sobbalza su una buca, perde un bauletto rigido in tinta con la moto che vedo rotolare via oltre il ciglio. Do gas e cerco di raggiungere la moto, ma c’è troppa polvere che non vedo più il tizio in sella alla suzukona. Rallento anche per aspettare gli altri, il Saraceno, il Profeta e l’Afghano sono qualche km più giù rallentati da una pausa pipì.
Continuiamo a salire, ancora qualche buca ma la strada migliora nettamente ed ora l’asfalto che la ricopre è liscio e pettinato che permette di aumentare la velocità, sempre in allerta visto qualche taglio netto in cui l’asfalto finisce per cedere ad una improvvisa e polverosa strada bianca.
Prima una mutanda, mi giro perchè mi sembrava proprio una mutanda da femmina. Un pantalone e un top, scarpe con il tacco, borsetta con paiette mi sfilano uno alla volta e li schivo con l’anteriore e io che mi affaccio a destra e sinistra della moto che non capisco cosa diavolo stia succedendo, poi vedo un pezzo di plastica familiare, simile al bauletto rigido in tinta con la Suzuki V-Strom di prima.
Le Urla
Mi sono sempre chiesto perchè il vocabolo “L’urlo” al singolare è sempre maschile, mentre quando è plurale diventa femminile: “Le urla”. La risposta definitiva mi è giunta in Romania.
Dall’accento penso che siano tedeschi. Un piccolo urlo di lui con le mani ancora sul manubrio nel dirle: “ma che ne potevo sapere io!”
Le urla di lei invece hanno qualcosa di selvaggio, spaventoso, da penetrare la fitta vegetazione, da sovrastare il frastuono degli altri mezzi a motore sulla strada, da ammutolire l’intera fauna della foresta rumena che ci circonda.
Volevo fermarmi per dire al biker tedesco che l’altro bauletto è più giù, ma uno sguardo della sua compagna con i capelli sul viso come la bambina di “The Ring” mi fanno desistere.
Svalichiamo sulle acque cristalline del lago Barajul Lacului Oașa da cui si gode una buona vista. Facciamo una pausa sul piccolo slargo dove lasciamo le moto e facciamo due passi tra le bancarelle di souvenir e prodotti tipici. E’ quasi ora di pranzo e mettiamo sotto i denti una alquanto non invitante frittella frittissima con sopra formaggio amaro grattuggiato e yogurt a fare da collante.
Il sapore è deforme come le smorfie che facciamo per mandarla giù aiutandoci con della Coca-Cola.
Ripartiamo sempre verso Nord, sempre sulle ora piacevoli curve della strada Transalpina che ora è asfaltata di fresco e perfino con i nostri tasselli riusciamo a piegare un po’ di più.
Sibiu
Sibiu è la principale città sassone e la più ricca di storia della Transilvania. Dopo che la popolazione fu quasi sterminata dai Tartari nel 1241, i sopravvissuti ricostruirono la città e la fortificarono con 3 cinta di mura e 40 torri. Il centro storico è fatto di piccole viuzze e stretti passaggi, alcuni palazzi signorili ed un’aria serena che alcuni la paragonano a Norimberga.
Per conquistare la città di Sibiu decidiamo un attacco a tenaglia – attacco questo con cui Milziade, l’inventore di questa tattica militare, pur essendo in minoranza ribaltò le sorti della Prima Guerra Persiana. Un manipolo di milanesi – Elia il Profera e Fabio il Saraceno – attaccheranno da Nord, mentre l’avanguardia romana – io e l’Afghano – attaccheremo da Sud. La città di Sibiu presa di sorpresa cede nel pomeriggio permettendo così alle nostre truppe di entrare trionfanti.
Avrei potuto raccontarla così. E sarebbe stata figa.
Ma la realtà è che non si sa come, sull’unica autostrada che da Sebes porta a Sibiu, dopo appena 5 km riusciamo a perderci. Il manipolio di milanesi – Elia il Profera e Fabio il Saraceno – raggiungono il centro della città da Nord, mentre il manipolo di romani – io e l’Afghano – arriviamo a Sibiu da Sud. Tutti e 4 sulla piazza principale dobbiamo ringraziare l’abolizione del roaming internazionale altrimenti avremmo speso oltre 500 euro per tutte le telefonate che ci siamo scambiati cercando di capire dove eravamo e come raggiungerci. Alla fine a separarci c’era un solo palazzo, quello del Tourist Info Center.
Anarchy In The UK
La Fortuna ci viene incontro e rimediamo una stanza in condivisione con altri giovani presuntuoncelli turisti backpack made in USA che ci avvertono pavoneggiandosi che loro russano parecchio. Sarà l’età, sarà l’esperienza, sarà che viaggio con 2 campioni olimpici di russo acrobatico e mi viene da sghignazzare; li saluto facendo spallucce e con un “mi dispiace per voi (pronunciato sottovoce)“. Loro ridono, per l’ultima volta.
L’ingresso del hostel è un bancone di un pub.
La serata comincia alle 17:00 e si concluderà solo alle 02:00 sorseggiando uno schifosissimo Jagermeister – purtroppo l’amato Fernet quì non sanno nemmeno cosa sia – mentre 8 punk rumeni sulle vecchie assi di legno del pavimento davanti al bancone ballano, pogano e cantano “I am an anti-Christ, I am an anarchist” di una mai così bella Anarchy In The UK dei Sex Pistols.
Noi ancora protezioni e stivaloni da fuoristrada ai piedi evitiamo di farci trascinare nelle danze, sarebbe stata una carneficina.
La mattina come nelle più classiche delle favole sporcoenduristiche ci svegliamo che stiamo più di là che di quà. Postumi di superalcolici bevuti a mo’ di succhi di frutta ci hanno cambiato il colorito della pelle e reso vitree le pupille.
Mi sento osservato come “The Elephant Man” che passeggia in via Montenapoleone a Milano in compagnia di qualche altro raro mostro da baraccone, i miei compagni di viaggio. Gli astanti inorridiscono al nostro “Goodmorning” che è un rantolo che appesta come un anelito soffio di vento sulle fogne a cielo aperto di una favela brasiliana: il nostro alito.
Con movenze disarticolate giriamo in mutande e t-shirt logori da giorni di viaggio in cerca del bagno, davanti a noi, spaesati e intimoriti, i giovani ragazzi turisti backpack made in USA che non hanno chiuso occhio.
Fuori c’è sole ed è una bellissima giornata, a fatica ci trasciniamo fuori per due passi nel bel centro cittadino.
Delle città attraversate finora Sibiu è senza dubbio la più carina ed interessante.
Piata Mare – la piazza principale della città – è piena di vivaci locali e tavolini all’aperto, tutto attorno il centro storico fatto di casette con finestre sui tetti che sembrano occhi. La Chiesa evangelica di S. Maria svetta sulla città e dal campanile si può godere una vista a tutto tondo sui tetti fatti di vecchie tegole rosse e gialle. Su Piata Mica si affaccia il famoso Ponte delle Bugie che dovrebbe crollare sotto il peso appunto delle bugie. Lo abbiamo testato a lungo dicendo che “il Tènèrè di Elia è più veloce della mia Africa Twin” ma non è successo nulla.
La serata la passiamo in piazza ad ascoltare il Festival Popolare della Canzone Rumena, dove sono presenti tutte le delegazioni delle varie regioni rumene, una specie di Sanremo italiano, ma più divertente.
il Progetto TET
Finora ci siamo sempre affidati a quello “spostato” di Elia il Profeta. E sinceramente è andato tutto decisamente bene, a parte i suoi sermoni sul perdersi nei boschi alla ricerca di noi stessi, la parabola del tassello buono e della slick cattiva, le prediche sull’esistenza di un solo Regno dei Giusti: il Regno del Fango.
Mentre ascoltavamo l’omelia mattutina del Profeta approposito della punizione divina per tutti i diversamente tassellati che ancora non si sono convertiti, Fabio il Saraceno abbozza un: “proviamo a seguire le tracce di TET”
Il suono TET risveglia in me e nell’Afghano un certo brivido inguinale sopito ormai da troppo tempo, non possiamo che essere d’accordo. Siamo in 3: la maggioranza; Elia in minoranza mette su il broncio, si allaccia il casco e ci aspetta braccia conserte sul petto mentre noi controlliamo la mappa. Una delle tracce del progetto TET ci avrebbe portato a metà della strada Transfagarasan, tutto in fuoristrada. Indicazioni da seguire: il villaggetto di Cainenii Mare.
Che cos’è The Trans Euro Trail
Il Progetto TET è una raccolta di tracce realizzate e messe assieme da un gruppo di enduristi volontari. Ognuno esplora e propone piste delle proprie terre. Si legge con piacere sul loro sito che “Rispettoso dei paesaggi, culture e sentieri”.
Non è una realtà commerciale e non si può pretendere precisione e affidamento. Ma il progetto e l’idea in se restano validi.
Andiamo veloci ed il ritmo è sostenuto da giorni e kilometri di fuoristrada che ci hanno forgiato gli avanbracci e allenato la mente ad affrontare qualsiasi ostacolo, perfino la nostra compagnia.
La traccia di TET è battuta e larga, da dolci colline e pratoni ci si infila nell’ennesimo bosco rumeno con alberi più rari da far penetrare luce e vento lieve che smuove al rallenty le fronde. È piacevole guidare qui, è piacevole guidare così. Qualche ora ce la godiamo in sella e sorridiamo e siamo felici che sembra di stare in vacanza.
Pugni chiusi e stretti sui fianchi, il suo “Ah Ah Ah Ah” è una risata beffarda, una risata di soddisfazione repressa chissà da quanto.
“Ve lo avevo detto io! Ecco cosa succede a chi si lascia tentare da altre tracce, da chi non si fida del vero Profeta.”
Quasi sono incazzato perchè alla fine ha ragione lui, dannazione.
La traccia di TET si ferma brusca su una discesa verticale con al centro un canalone di sassi smossi buttati lì come praline su una torta per festeggiare le nostre 100 cadute.
Le 4 moto a cavalletto e partiamo in perlustrazione a piedi cercando alternative alla festa che ci aspetta. L’unico varco è il letto di uno stretto torrente che compie una curva e scende a valle. Quando torniamo alle moto dopo quasi un’ora di trekking impegnativo siamo sudati fradici e in carenza di ossiggeno e abbiamo già consumato le energie dell’intera giornata.
Facciamo un rapido calcolo: Il numero delle ossa che ci resta da rompere diviso il numero delle cadute che ci aspettano moltiplicati i giorni che ci restano di viaggio.
La decisione è presto presa: Torniamo indietro.
Bellissimo, dove si possono trovare le tracce del viaggio ??
ciao Stefano
molte tracce le trovi qui: http://www.transeurotrail.org/