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Settima Puntata: Ishkashim, Khorog, Valle di Shakhdara, The Roof of the World Festival.

Khorog

L’Afghanistan è lì, ad appena 5 metri, al di là del fiume che urla con forza e vigore da far spavento. L’Afghanistan aahhh sospirone. La frontiera chiusa ad Iskashim ci ha fatto storcere la bocca ora piegata all’ingiù in una smorfia di tristezza. Sinceramente ci sono rimasto un po’ male. E’ la seconda volta che provo a raggiungerla ed è la seconda volta che vengo respinto.
La prima nel 2014 con Andrea bloccati dal deserto iraniano, da quei maledetti 55 gradi del Dash e-Lut in cui abbiamo rischiato di essere fritti vivi. Ora invece è una frontiera chiusa a bloccarci la strada.
Siamo costretti a guidare fino a Khorog costeggiandola, quasi accarezzandola. Folate di vento che si insinuano nella gola ci portano addosso la polvere giallastra dell’altro lato.

afghanistan tagikistan Nonno Peppe e Francesca afghanistan tagikistan Guesthouse Parinen Inn Guesthouse Parinen Inn

Arriviamo nel pomeriggio a Khorog e prendiamo un posto in piccionaia alla Guesthouse Parinen Inn. Per risparmiare due lire ci accontentiamo di dormire nella parte superiore dell’edificio senza tetto che ancora stanno finendo di costruire. Guardiamo il cielo che è senza nuvole e srotoliamo i sacchi a pelo. Nonno Peppe e Francesca non si fidano e aprono la tenda. Indovinate un po’ chi ha fatto la scelta sbagliata?

In serata ci raggiunge l’Afghano che si è sparato da solo tutta la valle e il corridoio del Wakhan. Anche lui con la stessa piegatura all’ingiù sulla bocca: “La frontiera con l’Afghanistan è chiusa, mannaggia”.

chiusa la frontiera Afghanistan Tagikistan

Usciamo a cercare del cibo. Veniamo da giorni di cene, pranzi e colazioni disgustose, minimali, orripilanti, dal gusto pessimo e dall’aspetto inquietante. Khorog, capitale del Gorno-Badachšan, è la prima città-paesone che incontriamo dopo settimane di villaggetti e agglomerati di catapecchie dove ci siamo nutriti con quel poco che ci servivano nelle yurte o a casa di chi dormivamo.

Vediamo un ristorante e ci buttiamo a capofitto dentro. Ordiniamo tutto, tutto.
“Questo, questo, questo e anche questo”
“Ma questo è solo per abbellire il tavolo”
“Non me ne frega niente… c’ho fame!”

In seconda serata la musica si alza e le signore al tavolo vicino al nostro si alzano e si catafiondano al centro della sala che ora diventa una sala da ballo. Sembra una festa balcanica. Signore culone con vestiti di ciniglia paurosamente iperinfiammabili al solo struscio delle cosce ballano battendo le mani e ancheggiando a scatti facendo muovere su e giù i loro chiapponi colorati.

Khorog – Valle di Shakhdara

Partiamo in perlustrazione portandoci dietro tutto. Non si sa mai che succeda qualcosa, che come al solito ci perdiamo o cambiamo idea e non torniamo più a Khorog.
Attraversiamo la Valle di Shakhdara: un kanyon rosso con pareti aspre e secche. Una volta che il kanyon si allarga intravediamo Karl Marx ed Engel Peak, le 2 vette innevate che si stagliano sotto un cielo che si annuvola sospettosamente.

Khorog Valle di Shakhdara Khorog Valle di Shakhdara Khorog Valle di Shakhdara Khorog Valle di ShakhdaraKhorog Valle di Shakhdara

Ci fermiamo al Castello di Derviji, un po’ deludente visto che rimane ben poco e bisogno avere parecchia fantasia per immaginarsi un castello. Consultiamo la mappa e con gran sorpresa notiamo quel simboletto che tanto ma proprio tanto ci piace: la grotta stilizzata con un rivolo d’acqua “Hot spring. WOW!”

Distratti allegramente come al solito finiamo di perdere tempo ammollo nelle piccole pozze delle terme. Il cielo intanto s’è fatto più grigio e minaccioso. Si decide di ritornare indietro, rientrare a Khorog. La strada è tanta e brutta e il tempo non promette nulla di buon. Ci avviamo per rientrare il prima possibile promettendoci solennemente di non fermarci e perdere tempo a fare foto, a fumare sigarette, nemmeno la pipì è ammessa.

Castello e terme di Derviji Tajikistan Castello e terme di Derviji Tajikistan Castello e terme di Derviji Tajikistan

Ma bastano pochi kilometri, una mano straniera mai così sperata e provvidenziale che si agita con dei bicchieri e un inebriate e irresistibile odore di carne e peperoni alla brace che come il canto della maga Circe ci rapisce senza che noi possiamo opporre resistenza.

E’ inutile: gli ubriaconi si riconoscono a distanza siderale. Non curanti del poco tempo che ci rimane e dell’imminente temporale in arrivo facciamo baldoria con i nostri nuovi amici, un gruppo di Pamiri che sta facendo un pic-nic più alcolico che bucolico. Ci servono pollo alla brace (il più buono mai mangiato finora), cipolle, peperoni, l’immancabile vodka e poi pivo, birra a fiumi. Dopo innumerevoli brindi a malincuore ci congediamo da tutta questa simpatia e da tutto questo buon di dio.

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Rientriamo gonfi e satolli in serata a Khorog.
Esco e compro 3 birre Baltica Premium. Mi accorgo solo dopo che sono analcoliche. Questo mi butta in un profondo stato di depressione, non ceno e vado a letto tra gli sfottò degli altri.

The Roof of the World Festival

Mentre facciamo colazione ci dicono che oggi inizierà il famosissimo The Roof of the World Festival, il festival della musica del Pamir, uno dei più importanti e più seguiti eventi dell’ Asia Centrale.

Ripensiamo a tutto il nostro programma di rientro e io, l’Afghano e Riccardo sacrifichiamo la visita a Samarcanda e Bukara curiosi di assistere a questo famosissimo festival a cui si dice parteciperanno gruppi e ballerini provenienti dal Pakistan, dall’India, e da tutti gli stati che terminano con Stan. Nonno Peppe e Francesca invece no, raccattano il loro bagagliame e partono decisi verso l’Uzbekistan. Ci separiamo quindi rincontrandoci solo a Bishkek. Si perderanno sto The Roof of the World Festival. E faranno bene!

Ascoltare per un intero pomeriggio della musica di gruppi provenienti da tutta l’Asia centrale, suonata da chitarrine a 3 corde e accompagnata da tamburelle e voci stridule è di una noia mortalmente monotona. Le canzoni sembrano tutte uguali e durano circa 11minuti l’una: due palle!
Unica cosa simpatica sono le performance dei ballerini e dei bambini che sul prato di fronte al palco li imitano.

The Roof of the World Festival Pamir The Roof of the World Festival Pamir The Roof of the World Festival Pamir The Roof of the World Festival Pamir

Io e l’Afghano irrequieti per non essere entrati in Afghanistan, testardi come due muli sardi iniziamo a fare il giro tra ambasciata Afghana, ambasciata Tajika, ente del turismo, agenzie turistiche, tour operator locali e il Pecta (Pamirs Eco-Cultural Tourism Association) chiedendo ripetutamente a tutti se magari il confine afghano ad Ishkashim sia aperto. Ma qui nessuno ne sa niente e nessuno ha certezze.

L’indomani andiamo a Garmchashma, località termale vicino Khorog. E’ una specie di Pamukkale turca, più piccola e tamarrizzata dalla presenza di un albergo grigio cemento e luci colorate al led al limite del kitch.

Sappiamo che si può fare anche il bagno a mezzanotte e con asciugamani ovviamente presi dall’albergo ci dirigiamo verso l’unica vasca.
Delle ragazze che incrociamo ci dicono qualcosa in russo che subito io e l’Afghano scambiamo per complimenti e ricambiamo strizzando l’occhio. In realtà era solo un’allerta, infatti il bagno notturno è concesso solo alle donne, che nude solo come il Signore Iddio le ha fatte si vedono arrivare ‘sti ignari italiani in vasca.
Le urla terrificanti, i gemiti febbrili, gli strilli acutissimi delle ragazze e delle donne nude ci fanno temere il peggio e con la certezza della vendetta dei maschi tajiki ci diamo alla fuga a gambe levate nascondendoci tra le sterpaglie.

Ta-ta-ta-ta Taliban

Conosciamo il simpaticissimo e paffutello Oberritter Miklós partito dall’Ungheria e diretto in Pamir, in pratica farà il nostro giro al contrario. Anche lui è qui alle terme di Garmchashma e sta per partire diretto ad Ishkashim. Non appena sentiamo pronunciare quel maledetto nome io e l’Afghano saltiamo in sella e ci dirigiamo con lui a Sud, ripercorrendo a ritroso la stessa strada fatta 2 giorni fa, piena di buche, piena di polvere e sabbia e speranza: “Si, la frontiera con l’Afghanistan sarà aperta! Dai dai dai”

Oberritter Mikló Oberritter Miklópamirfrontiera-ishkashim-chiusa

Impieghiamo mezza giornata per fare 100 kilometri. Arrivati di fronte al grande cancello parcheggiamo le moto e facciamo un fischio al militare dall’altra parte. A gesti gli facciamo capire che vogliamo entrare. Lui senza avvicinarsi ci fa segno che è chiuso.
Scendiamo allora dalla sella, ci togliamo il casco e con la testa tra le sbarre e le mani a penzoloni facciamo la faccia più dolce che solo due bambini che chiedono al papà di fare un gioco pericoloso sanno fare.

Il militare si alza e ci viene incontro e a noi non ci sembra vero e quasi ci avevamo creduto.

“Ta-ta-ta-ta-ta-Taliban – Ta-ta-ta-ta-ta-Taliban”

Guardo Andrea e mi dispiace per questo giovane milite tajiko balbuziente. Poverino, mi dispiace davvero tanto per lui.

“Ta-ta-ta-ta-ta-Taliban – Ta-ta-ta-ta-ta-Taliban”

Ci ripete che la frontiera è chiusa e non possiamo entrare. Che è troppo pericoloso.

Solo dopo avere rinunciato anche quest’anno ad entrare in Afghanistan, solo dopo riusciremo a capire che quel suo “Ta-ta-ta-ta-ta – Ta-ta-ta-ta-ta” che pensavamo fosse dovuto alla balbuzie di quel povero soldato invece era il Ta-ta-ta-ta-ta del Kalashnikov dei Talebani che erano arrivati lì a soli 50 kilometri da Ishkashim.

Rientriamo nel pomeriggio a Khorog, dopo aver rifatto per la terza volta quei 100 kilometri, e ancora sassi, buche e sabbia e un sogno infranto.

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