Conosci gli Sporchienduristi? Mio fratello mi ha invitato a passare un weekend con loro e devo ammettere di essere un po’ emozionato. Gente seria, tipi tosti.
Enduristi. Lo dice il nome. Sporchi. Gente indurita dalle intemperie e dal freddo, sempre pronta a scalciare nel fango per tenere su i 200 kg delle loro Africa Twins. Nelle vene gli scorrono i ciottoli dei greti che guadano senza incertezze, ogni domenica, screpolati dallo scirocco o intirizziti dalla tramontana. Le stagioni si susseguono, scandite a suon di chilometri: la differenza è solo nella viscosità dell’olio del motore… Non temono ghiaccio né acqua; solo l’asfalto li repelle!
Mi sveglio prima del previsto e ricontrollo tutto più volte, sai, per non fare brutta figura. In fondo sono solo un tranquillo stradista. Rispolvero la vecchia tuta da Caramba, regalatami dal Paso in persona prima del suo tragico incidente, ingrasso la catena e m’incammino, roso dall’ansia, verso il luogo dell’appuntamento, dove conoscerò il mio destino: sarò all’altezza? Riuscirò ad integrarmi? Anche se non so distinguere un carburatore da una marmitta? E gli unici cuscinetti che conosco sono quelli adiposi che non vogliono saperne di rientrare nella pelle ormai squamata della vecchia tutaccia?
Quando arrivo non c’è nessuno. Ecco lo sapevo, se ne sono già andati. Non hanno voluto aspettare un comodo scooterista, si saranno svegliati all’alba, attirati dal sapore metallico dell’avventura, per duellare con lo sgusciante e imprendibile orizzonte…
No, arrivano. Allora ho fatto la figura del pivello. Moroboschi, Triplo, l’Ermetico, Maculato… Il rombo dei motori scalza via l’asfalto dagli offesi tasselli dei loro copertoni, regalandogli sempre un tappeto di morbida terra battuta. Ogni adesivo, ogni graffio della carena, ogni zolla che si stacca dai loro stivali, raccontano storie che si sgretolano al vento: la duna d’uno sperduto e innominabile deserto si mischia al vile terreno romano, il tintinnare d’una cinghia ricorda brindisi di latta di chissà quale imperdibile Elefantentreffen…
E il mio Bandito tossicchia d’imbarazzo al minimo, aspettando d’esser messo alla prova.
Conosci il Monte Vettore? No? Beh, neanch’io. Loro ci sono stati già tre volte: una passeggiata. Io mai. La vetta scolpita nel ghiaccio ci aspetta col naso al cielo, in posa altezzosa e scostante, pronta a respingerci alla prima incertezza. Avranno già scorto il timore nei miei occhi, malcelato dalla visiera troppo pulita del mio casco? Se sì, non me l’hanno fatto pesare.
E siamo già in cammino, scaldati da un timido sole che ci indica la via per l’infinito.
Sono le 9.30: questi 250 chilometri ce li mangeremo in un sol boccone!
il porchettaro
Conosci il porchettaro sotto alle cascate delle Marmore? No, non il primo, il secondo, quello con la porchetta più grassa e i prezzi più bassi. Sì, proprio quello. Beh, alle 11.00 avevamo consumato più olio di strutto che di motore! Macinato più chilometri di grasso animale che d’asfalto. Gente indurita dalle avversità, ho pensato. Si svegliano presto e mangiano presto, prima che cominci la vera sfida, ho pensato. E mi sono scolato la mia birra d’un fiato. Ascoltando attento i loro discorsi, per capire l’evolversi della situazione, per non essere da meno: “Io sono a dieta… Voglio arrivare al rifugio prima possibile… Un panino e via…”
Poggio Domo
Conosci Poggio Domo? Tranquillo, non lo conosce nessuno, neanche il signor Michelin. Gli amici Ternani incontrati alle cascate, ci conducono bendati, per non farci capire l’ubicazione del loro rifugio segreto, lungo strade franate, o insidiosamente asfaltate da poco: si rischia il mucchio selvaggio a una curva a gomito, le ruote anteriori attratte come da un magnete in una pozza di bitume fresco, danzano all’unisono alla Jamiroquai, prima di scaraventarci sotto al tavolo della locanda dove pranzeremo. Ma ancora sto a cercà de trattené la porchetta de un’ora fa’… Questi Sporchi, ho pensato. Gente rude, di poche parole. Gente di sostanza. Che fa rima co’ panza!
Ammazza quanto magnano, ho pensato.
Emanuela
Conosci Emanuela? Sì, la donna dell’Ermetico. Non diresti un’endurista, non diresti una vera Sporca. Allora non la conosci! Sto a dieta, mi dice, non ho molta fame, prosegue. Io non ne ho per niente, mi lascio sfuggire – pentendomi – questa confessione, forse posseduto dal porco che ancora scalcia nel mio ventre dilatato. Mi prenderò solo un primo, tanto per essere di compagnia e non fare il guastafeste. La vedo aspirare l’antipasto di salumi come aria fresca, prosciugare caraffe di rosso come nella grande secca del Po’ del 2004, sottomettere pappardelle ai funghi porcini come sudditi ingrati, rinfrescarsi le tonsille con insalate di salsicce e transumanze di docili abbacchi alla scottadito, lavarsi i denti con tiramisù, caffè, ammazzacaffè e ammazzacristiani della casa (tipo Centerbe, ma più forte!).
Minchia quanto magna, ho pensato. Mejo compraje ‘na moto che offrije ‘n pranzo. E’ proprio una SporcaEndurista!
Alle 16.00 siamo “di nuovo” in sella, il serbatoio disassato per far spazio alla panza Offroad, l’orizzonte dell’avventura un po’ sfuocato e tremulo.
Gino
Conosci Gino? Il gestore del rifugio ai piedi del severo Vettore? Un orso buono, un burbero buontempone. Lega bene con gli Sporchi. L’enduro e la montagna hanno tratti in comune. Gli esiti incerti, il rispetto della natura, il gusto della sfida, il cuore oltre lo steccato, la panza sotto al tavolo…
Alle 19.30 siamo di nuovo a tavola, insieme agli altri che ci hanno raggiunto, Maxx e Sora Rosa, Giorgiodililli e Lillidigiorgio, Gorgonauta, ErCavaliereBianco-Cristiana e ErCavaliereNero-Salemme, Gmdx (ovvero il Gemello Destro, il distillatore destro di Dio, che però non riconosce il suo datore di lavoro), Chianurivs-Gianfango e Fanga, più i già citati Triplo e Tripla, Maculato e Frugia, l’Ermetico e la Dietologa, Moroboschi ed io, Paolodigiorgiodililli, l’intruso.
250 chilometri in un sol boccone! Diciamo due. Vabbè, tre. Facciamo a occhio! 9 ore di marcia forzata, almeno 6 co’ le zampe sotto a un tavolo. Ritmi insostenibili per il mio fisico. Ammazza quanto spingono sti Sporchi, ho pensato. E sono crollato nel sonno del giusto. Per una manciata di secondi, fino a quando ErcavaliereNero non s’è girato al piano superiore, facendo cigolare e traballare la struttura più del dovuto. L’unica senza tavole di legno! A proposito, sapete perché lo chiamano ErCavaliereNero? Perché nun je dovete cacà er cazzo!!!!
L’alba
Conosci l’alba? Quella discontinuità nel tessuto spazio-temporale, quella dimensione sospesa, quell’attimo intangibile, unico e irripetibile nella sua quotidianità, dove il mondo si colora d’azzurro e il futuro sembra sorriderti benevolo affacciato al precipizio dell’orizzonte?
No? Beh, manco io! Per me l’alba è una costante fisica in una struttura temporalmente mobile: tazzone di latte e caffè ad una qualsiasi ora del pomeriggio. Non certo Gino che irrompe alle 8.00 accendendo la luce e tamponando secchiate di pioggia dalla più che permeabile finestra!
La seconda alba è più magnanima: cappuccino in ditale di plastica e simil-colomba pasquale. Ma il Gigante Vettore sembra offeso e chiude le sue imposte di nebbia, negandoci ospitalità.
Alle 10.30, bardati da primo tentativo alla Nord dell’Eiger e carichi di cibo come per la traversata invernale della Groenlandia, ci apprestiamo a svegliare Gorgonauta per incamminarci verso un pianeggiante Belvedere.
“Ma che siete già tornati?” Ci apostrofa dal gorgo della sua gola ancora assonnata, in fondo all’antro saccoappelico.
Quattro passi ed è già pranzo. Conosci il gemello Destro? Ah tu conosci il Sinistro? Beh, è la stessa cosa. Cloni. Stessa faccia, stessa voce, stesse cazzate, stesso vino nello zaino. In più il Destro aveva olio, sale e pepe e una pagnotta sgraffignata in cucina. La tecnologia fa miracoli. E’ incredibile come in zaini così minuti possa entrarvi così tanto cibo, dal panino al fico secco, passando per la cioccolata, il lonzino ed i biscotti al cocco!
Poi il vento ci respinge e ci invita al rientro: d’altronde è quasi ora di cena!
Matrics
Conosci Matrics? Bicchiere di vino bianco, rimani nel mondo “normale”, bicchiere di vino rosso, accedi al livello di coscienza superiore. Il Fango deve averci dato giù di brutto con la supercoscienza rossa, perché si esibisce controvento in pose spacca-rotule schivando i proiettili invisibili delle nostre macchinette fotografiche.
Poi c’è la lezione di “salvataggio alpino” del capitano Sciechelton-Triplo col suo fido scudiero Gemdx, con tanto di distillazione bocca a bocca, infine esercitazione di snowpanzboard a capa sotto.
A cena, compattati nello spirito del gruppo, ci si lascia andare a scroscianti applausi di chiappe, quando, il luminare Gemdx, sollevato dal peso dell’imbarazzo, per la gioia degli astanti, conclude trionfante il suo discorso di commiato del convegno “Il Moro fusiforme e la Ceramica Bianca – spinte motivazionali per il grande vuoto post-creativo”. A seguire miscellanea pop-rock ’70 e ’80 con intimidito ed assonnato chitarrista “testa di cazzo-chierichetto” preso in ostaggio da un Moroboschi ad alto tasso alcolico.
Conosci il momento degli addii? Dei volti rigati di lacrime e promesse? Beh, i ruvidi enduristi no. Chiusi nella rigida scorza di uomini temprati alla sofferenza, si preparano silenziosi e lesti alle prime luci del mattino, per dileguarsi in una nube di polvere e maschio ricordo. Non conoscono esitazione né nostalgia. L’istante prima sono tutti lì, uniti e compatti, come un’unica anima coesa…
L’istante dopo pure! “Ahò è quasi pranzo, che famo, restamo?”
li ho conosciuti
Io li ho conosciuti, figlio mio, gli SporchiEnduristi. Erano altri tempi, c’erano altri valori. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come…
…puzzette nella tramontana.