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Ottava e ultima Puntata: Khaburabot Pass, Dushanbe, Istaravshan, Osh, Bishkek.

Khaburabot Pass

Dormiamo la nostra ultima notte nella Guesthouse Parinen Inn, l’indomani lasceremo Khorog per iniziare la fase di rientro di questo viaggio. Ci restano pochi giorni a disposizione e la strada per Bishkek è ancora lunga e sicuramente piena di imprevisti visti i miei compagni di viaggio.

La nostra sveglia ricca di tante buone intenzioni e di tanti kilometri da macinare era puntata alle 7:00. Dormivamo dolcemente come pupi sopra la piccionaia a cielo aperto della guesthouse. Un tramonto, le stelle, il blu della notte e il sonno, dolce.

Ore 2:00 le prime gocce ci investono la faccia e la parte superiore dei sacchi a pelo, l’infame acquazzone notturno ci coglie impreparati nel sonno inzuppandoci in maniera irreversibile. Un fuggi fuggi generale cercando di arraffare e salvare il salvabile e svegliare gli altri che ancora dormono.
Ci ritroviamo nella stessa posizione in cui dormivamo qualche minuto fa nei sacchi a pelo, ma stavolta non in orizzontale ma in vesticale, schiacciati ad una parete riparandoci sotto le misere lamiere di un sotto tetto in costruzione.
La pioggia è violenta e le gocce sbattono in maniera così fragorosa e croccante su tetto che è impossibile dormire.

Riusciamo a coprirci con un telone che molto probabilmente utilizzano di giorno i muratori. Cerchiamo di chiudere gli occhi, ma in un attimo sono già le 5:00 e ancora piove. Aspettiamo le 7:30 e il cielo sembra aprirsi la pioggia si calma, e piano smette di battere. In men che non si dica recuperiamo le nostre cose ormai fradice e saliamo in moto. Via usciamo da Khorog che si intravede un raggio di sole.
Ma è una cattiveria del Signore che ci fa mettere in moto e alla prima curva fa piovere.
khuburabot pass Pamirkhuburabot pass Pamir192 kilometri da Khorog a Kalaikhum
sotto l’acqua. Arriviamo che siamo distrutti, stanchi morti, spossati da ore di guida sotto la pioggia, tra curve e buche di questa benedetta Hightway M41.
A Kalaikhum facciamo pausa cercando di prendere una decisione su come arrivare a Dushanbe, la capitale del Tagikistan. Mangiamo qualcosa di caldo con i vestiti ancora umidi appiccicati addosso e con la mappa sul tavolo controlliamo come affrontare i prossimi kilometri con le poche ore di luce che ci restano.

Potevamo scegliere se fare la strada più lunga (circa 370km) più calda e più sicura oppure la strada più corta (circa 230km), più fredda e meno sicura.
Eravamo stanchi, bagnati, infreddoliti e potevamo scegliere solo una strada: Quella sbagliata.

controllo passaporti pamir tajikistanAppena superato il controllo passaporti al check point il militare, poco più che diciottenne, con un evidente cenno di “no” con la testa e indicandomi il cielo mi fa capire subito che noi a Dushanbe non ci arriveremo mai.
Davanti l’aspra montagna si piega su se stessa in una gola stretta che ingoia la strada di cui si intravedono solo qualche curva che si arrampica su fino ai 3252 metri del Khaburabot Pass nascosto da cupe nubi dense che tossiscono tempesta.

Le nuvole sono così dense che la luce dei lampi non ce la fa ad uscire ed illumina la gola con una luce fioca che sembra quella di una vecchia lampadina che sta per fulminarsi. Il suono dei tuoni strozzato e graffiato dalla roccia fa letteralmente paura.
Tornare indietro non si può, e abbastanza spaventati e preoccupati ci prepariamo ad affrontare il Khaburabot Pass con timori e paure che si amplificano ad ogni metro che avanziamo.

La strada si infila dritta tra le pareti verticali della montagna, un vento freddo ci sputa in faccia gocce gelate che a spilli ci bucano la pelle. Iniziamo a salire e la strada si restringe in un sentiero rosso che sembra ormai piccolo come lo spessore delle nostre ruote. Nebbia e nuvole ci isolano con pareti di grigio impenetrabile che facciamo fatica a tenerci a vista. Guidiamo con i piedi a terra per tenerci in equilibrio. Suoniamo il clackson per restare almeno in contatto sonoro.

Risaliamo come salmoni controcorrente questo torrente rosso su cui guidiamo, sassi enormi che muggiscono e si spostano al nostro passaggio, “vacche maledette! Ci mancate solo voi”.
La pioggia non smette, eravamo bagnati prima di iniziare a salire, ora quassù siamo letteralmente e totalmente zuppi. Dopo ore di pioggia iniziano a cedere anche i materiali tecnici delle giacche, dei pantaloni, degli stivali. Entra acqua dappertutto.

ci scaldiamo le mani sulle marmitteScende la notte ed ora la paura si trasforma in terrore. Fa freddo. Non sento più le dita, ci fermiamo sempre più spesso e cerchiamo di scaldarci le mani sulle marmitte. Ancora pioggia e visiere bagnate e appannate e sporche di fango. Pozze d’acqua che non si capisce quanto siano profonde che a prenderle con l’anteriore ci arrivano sassate sui denti. Arresi e ormai senza forze ci fermiamo in un villaggio in cerca di aiuto.
E’ tutto spento, bussiamo alle porte, ma non c’è nessuno, nessuna luce, nessun fumo di una stufa accesa. Ripartiamo.

Continuiamo senza speranze, senza sapere dove siamo e quanto manca alla fine di questa lenta agonia. Freddo, troppo.
Stanchezza e freddo che ormai non riesco a mettere a fuoco nulla. Cerchiamo di restare vicini, di non perderci. Siamo in pericolo e ne siamo consapevoli. Abbiamo paura.

Chaychanaka TajikistanLa luce gialla della chaychanaka la sentiamo calda come solo un miraggio di speranza può esserlo. Dura un’infinità eterna che sembra non arrivare mai e ormai quasi semi-assiderati bussiamo alla porta.

La signora che ci apre si spaventa al solo toccarci le mani rattrappite dal freddo che ci crede morti. Ci fa entrare e ci mostra uno stanzone, accende la stufa e noi ci spogliamo togliendoci di dosso il freddo e la stanchezza patiti per ore. Mettiamo ad asciugare tutto, compreso calzini e mutante attaccandoli alle pareti della stanza.

La stufa in un attimo riscalda l’ambiente, e la circolazione riprende il suo flusso e ci fa male la pelle, ci arde il sangue ma non mi lamento: “voglio morì come Giovanna D’Arco: bruciato vivo!”

Chaychanaka Tajikistan SporcoenduristaPer cena mangiamo una quantità disumana di burro, miele e pane, che scaldiamo sulla stufa tra i calzini putridi messi ad asciugare. Ricarichiamo di sterco la stufa e più che andare a dormire, sveniamo per la stanchezza. Ma siamo al coperto, al caldo. Siamo vivi.

Chaychanaka – Istaravshan

Il buongiorno ha l’acre odor del fetido. Puzziamo di umido, di brace, di polvere e sudore. Ci rivestiamo con gli stessi abiti sporchi di terra e fango secco. Nemmeno ci laviamo, facciamo colazione sempre con burro, pane e miele e dopo aver lasciato 20 dollari alla signora che ha salvato la vita a questi impavidi italiani ci rimettiamo in cammino. Non piove e respiriamo felicità.

sporcoendurista pamir e wakhan chaychanaka fiume straripato Anzob Pass

La nebbia di ieri, la pioggia e il buio ci hanno nascosto la bellezza che ci circonda. Il cielo è ancora cupo ma va verso un miglioramento.

Ringraziamo il cielo di essere ancora vivi e di esserci fermati ieri sera nella chaychanaka. Lo ringraziamo ancora di più quando ci troviamo di fronte un brandello di montagna venuta già che ha lasciato sulla pista che stiamo percorrendo una fanga rossa densa come polpa di pomodoro.
Annaspiamo fino al check-point militare dove chiediamo informazioni sulla strada e ci rispondono: “Quale strada?”
3-fango-rosso 4-fango-rossoPamir check-point militare Pamir check-point militare Pamir check-point militareCi accompagnano fuori e ci fanno affacciare da un belvedere. Durante la notte un torrente ha letteralmente spazzato via 500 metri di strada e un ponte.
Detriti, sabbia, pezzi di strada divelti e spazzati via come crackers.

Un capannello di gente del vicino villaggio prende posto su quel che rimane del ponte e si prepara a gustarsi lo spettacolo.
Ci abbracciamo letteralmente le moto e ce le portiamo dall’altro lato tra sabbia e massi viscidi e grandi come cocomeri.
Bestemmie e sangue e fragorosi applausi per ogni moto che ce la fa. Un boato di apprezzamento da parte del pubblico di casa per la nostra traversata mette fine a questo calvario.

Sporcoendurista Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizista Sporcoendurista Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizista Sporcoendurista Uzbekistan, Tajikistan, KirghizistaRiusciamo ad arrivare a Dushanbe e non appena entrati in città restiamo ipnotizzati a guardare uno strano oggetto verticale che emette una luce prima verde, poi gialla e rossa. Un semaforo, non ricordo da quanto tempo non ne vedevamo uno.

Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan in quest’area si contorcono frastagliando i loro confini in terre contese e frontiere chiuse. Ci stiamo infilando in un budello di strade senza uscita.
Alla fine la soluzione più logica è passare per Istaravshan che leggendo sulla guida la paragonano addirittura a Bukara, la famosa città uzbeka. Come al solito tutti i nostri piani si vanno a fare friggere e il tranquillo arrivo previsto nel primo pomeriggio ad Istaravshan si trasforma in un’estenuante saliscendi sui tornati polverosi del Anzob Pass. Il recente tunnel che buca la montagna è chiuso “te pareva” e siamo costretti ad una deviazione di 70 kilometri tra camion e auto che giocano ad ucciderci.

Posseduto dal Demone del Fuoristrada mi lancio in una corsa folle e orgasmatica su questa pista di breccia morbida bruciandomi i tasselli in un’eiaculazione enduristica.

Ad Istaravshan ci arriviamo solo in serata. E’ tardi, siamo stanchi e ci rifugiamo nel primo albergo che troviamo. Appena costruito e con parcheggio moto, ma il proprietario è di un’antipatia mostruosa. Le stanze sono fatiscenti, senza bagno e senza docce:
“Ma come diavolo si fa a costruire un albergo nuovo di pacca senza doccia e cessi: Assurdo!”

Istaravshan la Bukata del Tagikistan Sporcoendurista Istaravshan la Bukata del Tagikistan Sporcoendurista Istaravshan la Bukata del Tagikistan Sporcoendurista Istaravshan la Bukata del Tagikistan Sporcoendurista Istaravshan la Bukata del Tagikistan Sporcoendurista

Ci svegliamo presto per una passeggiata mattutina in centro, giusto il tempo di constatare che Istaravshan con Bukara non c’entra proprio nulla. Una moschea abbandonata, una scuola con soffitto intarsiato in legno e un palazzo con su l’eroe Jurij Gagarin. Andiamo via.

Morte di un viaggiatore

La nuova autostrada superasfaltata di fresco ci fa evitare l‘enclave uzbeka di Sokh, risparmiando tempo e stress che avremmo buttato tra controlli passaporti, visti, importazione moto e altre menate del genere alla frontiera Uzbekistan-Kirghizistan.

Lo scoppio avviene a 90km/h. All’improvviso il manubrio inizia a sbacchettare violentemente, destra sinistra sul serbatoio da farmi male ai polsi. Della prima macchina sento solo il sibilo a pochi centimetri da me. Un suono freddo come la morte che leggo negli occhi dell’autista della seconda macchina che con una brusca sterzata riesce ad evitarmi.
Sono ancora in sella, la ruota anteriore è esplosa e sono in pieno contromano su una maledetta strada asfaltata del Tagikistan. Lamiere, gomme che stridono, pugni sui clacson.
Non controllo più la moto, non posso frenare. D’istinto metto i piedi a terra ma poi li ritiro su.
Mi preparo all’impatto, violento.

– Penso al fatto che sicuramente esploderanno le carene della moto e perderò tutti gli adesivi dei miei viaggi.

– Penso al fatto che ho un’agendina piena di appunti e ricordi e chissà chi scriverà il report a puntate di questo viaggio.

– Penso al fatto che non ho chiamato la persona che amo.

Un silenzio assoluto interrotto solo dal ritmico pulsare del terrore, attorno rumori assordanti non coprono il cuore spaventato che sento battere, sbattere da dentro con un grido di paura.

“Silenzio. Sono pronto. Ecco. Cosa ci sarà dopo la morte?”

“Non è vero che dopo 3 giorni si risorge
a volte anche prima”

Resurrezione di un viaggiatore

La voce da fuori mi chiama con il mio soprannome.
La voce da fuori ha uno strano accento romano e timbro afgano.

“Moroboooooooooooooò”

Quando riapro gli occhi sono ancora in piedi e in sella alla moto.
Oltre il ciglio della strada vicino un piccolo canale di scolo mi sento strattonato, scosso e infine abbracciato da qualcuno, un amico.

Andrea l’Afgano s’è visto tutta la scena da dietro, mi seguiva a ruota a qualche decina di metri. Ha visto tutto: l’esplosione della mia ruota anteriore, la violenta sbandata fino ad invadere l’altra corsia, le auto che stavano per investirmi, la mia moto che sbacchettava, che deviava fino a fermarsi fuori la strada asfaltata. Io semi incosciente, tremante e con un colorito che vira dal bianco al trasparente per l’enorme spavento.

Io ancora V I V O !

Moroboschi con la gomma a terra Moroboschi con la gomma a terra

Ci vuole stile anche nel chiedere aiuto

Ci vuole un’oretta prima che riesca a scendere dalla moto, riprendere un colorito rosa tiepido e a camminare in equilibrio su 4 zampe.

I paragrafi che seguono voglio che rimangano segreti. Se non riuscite a mantenere i segreti chiudete la pagina e leggete altri report di viaggi in moto.

Io e l’Afgano davanti ad una ruota bucata siamo come Cip e Chop, anzi come Chop e Chop (Cip era quello intelligente). Restiamo a bocca aperta aspettando che l’altro faccia la prima mossa perchè non sappiamo proprio da dove iniziare.
La carta che gioca l’Afgano è il Siri del suo iPhone: “Come cambiare camera d’aria Africa Twin”
Siri: “Sei in Tajikistan, non c’è linea”

Vabbè… tiriamo fuori tutti gli attrezzi che abbiamo su entrambe le moto, recuperiamo una chiave da 8 e una da 10 e dopo aver messo la moto in equilibrio su una masso, riusciamo a smontare la ruota.
Ok, almeno qui ci siamo arrivati. Ora che si fa?
Prendiamo le leve caccia copertoni. Io ne ho 3 lunghe, Andrea ne ha altrettante di quelle corte. Tra dita schiacciate tra cerchio e spalla del copertone, e unghia nere pestate dalle leve che saltano come molle, ci ritroviamo che sta facendo sera con la ruota a bordo carreggiata con 6 leve messe in maniera confusionalmente isterica.
Un ragazzo di zona passa e prendendoci evidentemente in giro ci chiede se stessimo giocando a Shangai.

Ci arrendiamo, finalmente, era umiliante fin troppo provarci con tutti quei passanti che sghignazzavano vedendoci ambedue chini sulla gomma senza riuscire a scollarla minimamente dal cerchio.

“non sopravvive il più forte o il più intelligente, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento”.
(Charles Darwin)

Alzo la mano, fermo un furgoncino, mi carico la ruota anteriore, mi faccio dare una camera d’aria di scorta dall’Afgano e mi faccio accompagnare da un gommista. Semplice no?
No! … L’Afgano sbaglia a darmi la camera di scorta, non l’anteriore ma il posteriore.
Il gommista lavora in un container di ferro che sotto il sole è un forno micidiale. Dopo aver appurato che l’Afgano ha sbagliato camera mi rattoppa la mia con una specie di biglia di gomma molla. Speriamo regga.

Mi riaccompagnano alla moto, rimontiamo la ruota e ripartiamo. I primi metri guido a 5 kilometri orari, la paura è ancora tatuata a pelle. Riusciamo ad arrivare ad Osh solo in tarda serata, guidando al buio gli ultimi strazianti, stressanti kilometri.

Raggiunti Riccardo e Viky, parcheggio la moto e vado diretto al frigo di un bar. Prendo ennemila birre: Stasera brindiamo a me.

Osh – Bishkek

Gli ultimi giorni di questo viaggio, come esattamente tutti gli ultimi giorni ti tutti gli altri viaggi, li passiamo a sperperare la moneta locale in vizi e sfizi senza freno.

ristorante vista fiume Osh

Andiamo a cena in un ristorante vista fiume e per farci scegliere i piatti mandano al nostro tavolo il cuoco. Noi gesticoliamo ed emettiamo suoni sordi per imitare il gusto del piatto, il cuoco ripete i suoni e gesticola come noi imitandoci. Pensavamo che ci stesse prendendo per il culo, invece era solo sordo-muto.

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A Bishkek invece ci regaliamo una serata nelle terme più lussuose della città. Con tanto di sala fumatori e birra a bordo vasca. Lusso russo.
Ci riaccompagna all’albergo un tassista talmente grasso che la coscia destra gli sborda sul cambio. Per cambiare marcia si inchinava e alzava la scoscia facendoci pensare che stesse per mollarne una. Invece era solo per arrivare meglio alla leva del cambio.

Il bazar è pieno di cinesate, i souvenir sono pochi e brutti. Non c’è proprio il senso del gusto. Cerco qualcosa di originale e alla fine compro dei chiodi e ferro a U per ferrare il cavallo.

bazar-bishkek-1 bazar-bishkek-2sporcoendurista-pamir-e-wakhan-3-2sporcoendurista-pamir-e-wakhan-2-2L’ultima sera i ragazzi del Motoclub Motoban di Bishkek organizzano una festicciola tutta per noi. Raccontiamo un po’ delle nostre disavventure: la multa di Andrea appena percorsi solo 12km dalla partenza, le notti a dormire in yurta, le notti al freddo sotto i picchi innevati, tutti i fiumi attraversati, Nonno Peppe che guida a 70km/h fissi sia su asfalto che in mulattiera, la maledizione di Murgab, Tiziana La Calabrese Volante in ospedale, l’acqua calda delle terme a 4000metri, la frontiera chiusa con l’Afghanistan, la mia gomma esplosa e altro…

… e altro ancora e a chiacchiere e risate e vodka e succo al cherry facciamo sfumare la nostra ultima notte di viaggio rendendo meno malinconico il rientro in Italia.

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