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Aprile 2000

Ogni tanto tra gli “sporchi” ma anche tra quelli un po’ più puliti, si sente parlare d’Africa. E’ il sogno di tutti portare, un giorno, la nostra moto in Africa e c’è chi una volta andato si sente soddisfatto e chi invece non vede l’ora di tornarci. Io non so da che parte stare ma voglio comunque raccontare la mia esperienza personale sperando che leggendo queste righe qualcuno decida di partire.

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L’idea di fare un viaggio in Africa nacque durante il lungo e freddo inverno del ’99…. (francamente non mi ricordo se sia stato così freddo e lungo però fa più fico); con Stefano cominciammo a fantasticare di un viaggio in Africa in completa autonomia con primo obiettivo quello di risparmiare più soldi possibile, e secondo, poiché tutti e due mal digeriamo situazioni in cui qualcun altro decide per noi, scartammo a priori l’idea di affidarci ad agenzie specializzate.
Deciso questo punto fondamentale passammo al luogo che ci avrebbe visto sbarcare per il nostro primo viaggio africano….la scelta cadde ovviamente sulla Tunisia per mancanza di concorrenti abbordabili. Per i mezzi da utilizzare la scelta, anche questa obbligata, fu “SUZUKI DR 600”, perché io ne avevo uno e perché Stefano aveva la possibilità di assemblarne, tra i suoi rottami buttati nell’intercapedine di casa, almeno tre. Così, mentre Stefano pensava alla preparazione dei mezzi, io cominciavo a raccogliere informazioni, articoli, cartine e tutto quello che pensavo ci sarebbe stato utile durante il viaggio che, avevamo deciso, si sarebbe svolto durante la settimana di Pasqua del 2000.
Prenotammo quindi il traghetto Napoli – Tunisi. (Lire 313.000)
La preparazione del mezzo di Stefano procedeva intanto nei tempi previsti e con perizia certosina; -un bel telaio nero racchiudeva un motore revisionato in tutte le sue parti, l’impianto elettrico controllato e ricontrollato, forcelle, mono, impianto frenante, giorno dopo giorno una moto nera e cattiva come un calabrone ed oggetto della bramosia di quanti si recavano nell’officina di Stefano, prendeva forma. Per la mia, invece, gli interventi si riducevano al cambio completo della carrozzeria (in quanto perfetta) con una più scalcagnata ma sicuramente più adatta e….aho, nun ma’annava de rovinà ‘a mia…oh! Per le gomme la scelta cadde, sempre in un’ottica risparmiosa e prendendo quello che c’era disponibile, sul “Six Days” per l’anteriore mentre per il posteriore su una gomma di cui non ricordo il nome ma i cui segni sono ancora visibili su qualche pista tunisina. Per il resto, Stefano, conoscendo a menadito pregi (tanti) e difetti (nessuno) del DR, decise di portare come ricambi un generatore di tensione, un regolatore, una centralina e le leve di ricambio; completavano il set: falsa maglia, camere d’aria, pompa a pedale e leve togli copertoni.
Al supermercato facemmo incetta di: minestre liofilizzate Knorr (leggermente salate per i miei gusti), carne e tonno in scatola, caffè liofilizzato, thè e un bel barattolo di crema di asparagi (Stefano ne va goloso) che diede il meglio di sé esplodendo in mezzo alle mie mutande di ricambio durante un trasferimento un po’ duro.
Tutto era pronto, mancavano 15 giorni alla partenza e……Stefano cedette alle lusinghe verbali e a quelle più convincenti del vil denaro vendendo la moto che si era preparato per partire…il calabrone prendeva il volo ma non c’era Stefano sopra. “Non ti preoccupare!” mi disse “Ne faccio un’altra!” E così in fretta e furia prese forma un incrocio tra una cavalletta e un pennarello fosforescente (vedi foto) con in più una chicca: al posto del vetusto freno a tamburo Stefano applicava un bel freno a disco con pompa e tutto.

18 Aprile 2000: Roma – Napoli

Si parte. Anzi parto. L’appuntamento è rimandato lungo l’Autostrada per Napoli in quanto Santa Angela (la mamma di Stefano) alzatasi presto, nota un’inquietante macchia sotto la moto di Stefano. E’ benzina! Sveglia il figlio che si mette subito a cercare il guasto e trovatolo -un buco nel serbatoio- provvede alla sostituzione.

Ci sentiamo per telefono e lo aspetto al distributore “La Macchia”; arrivano altre moto, ci sono delle jeep… non vanno ad una sagra paesana…e mi comincio a preoccupare, guardo il vecchio DR e mi domando se ce la farà e se ce la farò io. Arriva Stefano che con un tubo da stufa atomico al posto della marmitta e la sua allegria attira l’attenzione e mi risolleva il morale! Ci si avvicinano in tre e ci chiedono una “cartina” io un po’ confuso rispondo che ne abbiamo solo una e ci serve…. Quelli se ne vanno con aria interrogativa…. dopo un attimo realizzo. Sveglia Fabri’!!!!

Napoli, strada verso il porto, ci si affiancano dei motorini che ci vogliono vendere Solex e telefonini, videoregistratori e televisori… aho! Ma me state a vede’ come so’ conciato???? C’ho il casco e gli occhialoni, gli stivali da cross, le pentole legate dietro…. Che ci devo fare con un videoregistratore?

Entriamo in porto, il mare è una tavola. Baldanzoso chiedo ad un ormeggiatore (ripensando alla barzelletta del gay e del bagnino) come è il mare fuori….invece di rispondermi: ”INCAZZATO!” mi squadra e mentre leggo una certa soddisfazione nei suoi occhi mi sussurra: “Stanotte si balla.” Perdo immediatamente la mia baldanza. Come si balla? Oddio… 13 ore di traghetto con il mal di mare….sudo freddo e in un lampo sono in farmacia alla ricerca della Xamamina. Il piazzale d’imbarco è ingombro di quattro tipologie di veicoli e passeggeri in rigoroso ordine di credibilità:

a) i tunisini che tornano a casa: macchine stipate all’inverosimile e facce simili a quelle che abbiamo noi quando aspettiamo il “60” o la metro.
b) gli arrabbiati: moto, jeep e camion preparatissimi, attrezzatissimi e cattivi con equipaggi e conducenti ancora più cattivi che sembrano usciti dal film “Mad Max”;
c) Stefano.
d) io.

Tutti ci guardano convinti di non rivederci al ritorno. Qualcuno si avvicina e ci chiede se abbiamo il Gps, se siamo aggregati a qualche gruppo ecc. Raccolto il nostro diniego un’anima pia ci suggerisce, in caso di smarrimento sulle piste, di incendiare le moto: “Qualcuno vedrà il fumo” ci incoraggia. Insomma, siamo gli unici “fai da te” a parte i tunisini con mogli e figli…ma non incendierò MAI la mia moto… semmai quella di Stefano.

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A bordo scoppia un mezzo ammutinamento. La nave prevista per la traversata si è rotta e l’armatore provvede a metterne a disposizione un’altra, adibita alla tratta Napoli – Trapani, di stazza notevolmente inferiore, tanto che molte persone che avevano prenotato una cabina, si ritrovano inferocite accampate nei saloni.
Noi ci gettiamo a pesce su due divani paralleli e togliendoci gli stivali, scongiuriamo ulteriori intromissioni. Partiamo con ritardo, i marinai parlottano tra loro e le loro parole non sono rassicuranti: c’è mare grosso, la nave è piccola e stipata di mezzi e gente, forse non bisognava partire….il primo schiaffone al traghetto lo prendiamo insieme alla prima Xamamina (saranno tre alla fine della traversata) mentre i marinai cominciano a distribuire pasticche e strani sacchetti di plastica. Vengono sbarrate le porte che danno sui ponti, ci stendiamo sui nostri divani e con una bottiglia vuota accanto mi appresto a non alzarmi nemmeno per i bisogni.

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19 Aprile 2000: Mar Mediterraneo – Tunisi

Dopo 27 ore d’inferno raggiungiamo il porto di Tunisi dove stralunati, insonnoliti e veramente stanchi ci aspettano due ore di beghe doganali della serie “Non ci resta che piangere” con continue richieste di un fiorino (o era un dinaro?) da parte delle “autorità doganali” che, consegnato un modulo bilingue (arabo e francese), vogliono sapere vita e miracoli delle moto, compreso il colore…. Ci sbizzarriamo con quella di Stefano scrivendo in maiuscolo “VERDE PISELLO E FUCSIA”. Forse è anche per questo che ci “rilasciano” solo a notte fonda e finalmente usciamo dal porto non prima di aver acquistato una preghiera musulmana venduta da uno un po’ insistente ma con una inquietante faccia da gufo.

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E’ tardi e perdiamo l’orientamento in una Tunisi ancora caotica nonostante l’ora. Ci ritroviamo in un sobborgo, ho Stefano davanti (come sarà per tutto il viaggio) a una cinquantina di metri, quando da un gruppo di persone mi arriva addosso uno che mi si aggrappa e comincia a darmi dei pugni sul casco; fortunatamente mi è arrivato a sinistra, rispondo ai suoi colpi colpendolo a casaccio e mollando qualche calcione e dando contemporaneamente gas…. Si stacca, mi urla qualche cosa e con il cuore a tremila raggiungo Stefano. Ci allontaniamo da Tunisi e troviamo una spiaggetta tranquilla a Madia nei pressi di Sidi Bu Said, la residenza del Presidente della Repubblica tunisino, montiamo la tenda e ci addormentiamo.

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20 Aprile 2000 Madia – Kasserine

Persone che fanno footing e portano a spasso i cani sulla spiaggia ci restituiscono la voglia di viaggiare insieme ad una bella mattinata di fine Aprile. Alcune ragazze ci guardano e ci sorridono, qui la gente se la passa bene e si vede, niente a che vedere con la periferia di Tunisi o con quello che incontreremo nei giorni successivi.
Prossima tappa Tabarca al confine con l’Algeria per poi piegare decisamente a sud verso le oasi di montagna. Attraversiamo, accompagnati da una leggera pioggerellina, dei villaggi di montagna con i tetti spioventi che escono dalla nebbia, ti aspetteresti di vedere da un momento all’altro qualche alto atesino in calzoncini.

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Il panorama cambia velocemente a mano a mano che ci dirigiamo a sud. Impariamo a schivare i sassi che i bambini ci lanciano contro al passaggio…. Non bisogna frenare e cercare di allontanarsi da loro ma puntarli decisamente ed accelerare: saranno loro a scappare impauriti. Ci dirigiamo verso Kasserine via El Kef, la strada è suggestiva ma in pessime condizioni, con lunghi tratti sterrati, deviazioni per lavori e brecciolino alto; incontriamo due ragazzi con una moto da strada che hanno le loro belle difficoltà, li salutiamo e procediamo. Dopo aver attraversato l’omonimo passo teatro del primo scontro tra le fanterie americane e quelle tedesche durante la 2^ Guerra Mondiale, arriviamo a Kasserine.

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21 Aprile 2000 Kasserine – Tamerza

Torniamo per qualche chilometro sui nostri passi per visitare Sbeitla, antica città fondata dai romani della quale rimangono notevoli vestigia ben tenute; grande ospitalità e gentilezza.

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Riprendiamo la strada per raggiungere Ferina da dove, finalmente, parte una strada bellissima che sale alle oasi di montagna; incontriamo i primi dromedari, e in un paesaggio che si fa sempre più simile a quello che avevamo in mente, piombiamo da una strada laterale sulla strada per Tamerza dove ad un incrocio un folle accanto ad una macchina tutta piena di adesivi ci spinge ed incita a prendere una direzione… non capiamo una mazza a parte qualche ALE’! ALE’!, ci guardiamo in faccia e decidiamo di far contento il folle… lungo la strada convinciamo uno su un mostro rosso a due ruote che forse la direzione giusta, per non sappiamo dove, è la nostra, quello ci guarda letteralmente dall’alto in basso, ci dà fiducia e riparte impennando. Entriamo a cannone in un recinto. Finalmente scopriamo dove siamo capitati: è l’accampamento della 5^ tappa del Rallye de Tunisie e capiamo solo ora perché i giorni scorsi i bambini che non ci tiravano i sassi ci chiedevano l’autografo! Ci aggiriamo felici e stupiti come due scemi al luna park e cominciamo a destare dei leggeri sospetti… ci fermano, vedono il pentolame sulla moto, capiscono che siamo due volgari infiltrati e ci invitano ad uscire non prima però di aver acquistato due fantastiche magliette commemorative ed aver mangiato patatine.

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Dormiamo a Tamerza sotto le palme previa richiesta di permesso ad un arabo probabile proprietario del posto… qui, ci spiegano, si usa così: ti fanno dormire dove vuoi, basta che chiedi il permesso.

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Conosciamo Farouk Assan che dopo aver saggiato le qualità tecniche di Stefano (cambio di una candela al suo scassatissimo motorino) si offre, dietro compenso, ad accompagnarci l’indomani mattina sulle “pista Rommel” fino a Cebika. Nel prezzo è compresa la visita ai set cinematografici di “Il paziente inglese” e “Indiana Jones” e un, lo scopriremo più tardi, terrificante pranzo arabo a casa sua.

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22 Aprile 2000 Tamerza – Tozeur

La mattina presto Farouk Assan ci viene a chiamare e partiamo per il nostro primo vero contatto con le piste africane: un misto di pietre e sabbia con Stefano che nonostante Farouk Assan aggrappato dietro, dimostra tutta la sua dimestichezza con il fuoristrada, fosse stato per me il signor Assan sarebbe andato a piedi.

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A Cebika un gruppo di turisti ci guarda incuriosito e una signora italiana, dando per scontato di trovarsi di fronte due stranieri, ipotizza con le sue amiche qualcosa sulla puzza dei nostri piedi chiusi negli stivali… Le rispondo in perfetto italiano e con cortesia lasciandola rossa come un peperone e derisa dai suoi compagni di viaggio; adoro queste situazioni. Lasciato Farouk Assan e il suo pranzo alla vostra immaginazione, ripartiamo direzione Tozeur.

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Qui ci spariamo un albergo con piscina e mega salamandra in camera che comunque, promettendoci di non russare, decidiamo di lasciare al suo posto. Il cellulare dà segnale e quindi diamo notizie a casa. L’indomani inizierà l’avventura.

23 Aprile 2000: Tozeur – Douz

Lasciamo Tozeur con una costante che purtroppo ci accompagnerà per tutto il viaggio: partiamo sempre troppo tardi, con il caldo si viaggia male (abbiamo raggiunto i 48°), il fondo si allenta e la fatica si moltiplica. Inizia il vero deserto! Raggiungiamo Nefta, e poi il confine sud con l’Algeria, siamo circondati da bambini che ci chiedono regali, “bon-bon” e “stilò”… la prossima volta ne porto uno zaino. Ci avvicina un ufficiale dell’Esercito tunisino ci disegna sulla carta una pista per attraversare il Chott ed arrivare a Rjem Mafoug… ci dice di stare molto attenti a non sconfinare in Algeria…., schiviamo gli ultimi sassi volanti e ci buttiamo a capofitto nel Chott el Jerid. La pista, bella, facile, dritta e a perdita d’occhio ogni tanto è attraversata da banchi di sabbia ed imparo presto, anche a prezzo di grosse “smaltite”, il modo per affrontarli: sabbia compatta? Via, in piedi, peso indietro (ma tanto già ci sono le pentole, il fornelletto e le scatole di tonno che svolgono egregiamente il lavoro) e…manetta. Sabbia profonda con tracce di pneumatici? Prudenza! Le moto saltano, cambiano improvvisamente direzione nonostante le teniamo con tutte le forze, fanno male le braccia e le spalle, la schiena e le gambe ed il sudore ci inzuppa dalla testa ai piedi, fino a quando un attimo dopo essersi già visti volare fuori pista, senti le gomme riacquistare aderenza…fino al prossimo banco. I sentimenti che vivo sono contrastanti: l’orizzonte mi gira intorno come mai in tutta la mia vita e lo sto tagliando in mezzo lasciandomi dietro polvere e sensazioni indescrivibili….ma la pista ci tradisce, un cartello a terra incontrato dopo 50 km. non ci aiuta e così ci inoltriamo su una pista che si perde tra sassi, sabbia e radi cespugli… ci fermiamo preoccupati, cerchiamo di ragionare e ci riposiamo pochi minuti nell’unica ombra disponibile in mezzo ad un deserto alle due di pomeriggio: quella delle nostre moto…Rjem Mafoug dovrebbe distare 25 Km. ma proseguire è impossibile; giriamo le moto, un sorso d’acqua, la temperatura è abbondantemente sopra i 40° e in queste condizioni disinsabbiare le moto diventa una fatica enorme. Stefano rompe la pompa del freno posteriore con lo stivale. Proseguirà, non so come, come se nulla fosse. Riconsultiamo la cartina e la bussola e procediamo verso nord-est, almeno non corriamo il rischio di sconfinare in Algeria. Ora il contachilometri gira veloce e accompagna la fiducia che ne usciremo tra poche ore. Improvvisamente sulla destra cominciamo a vedere dei pali telefonici…urlo e impreco contro nessuno, pure Stefano si agita e fa gesti aumentando l’andatura. Piombiamo a novanta all’ora su una striscia d’asfalto! Ancora decine di Km. ci separano da Zaafrane, Douze e El Fauar, ma siamo usciti e ci sentiamo forti e tosti.

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A Douz facciamo rifornimento e ci indicano l’officina dove riparano la pompa del freno…grande ingegnosità e impegno con mezzi scarsissimi ma purtroppo la riparazione effettuata con l’ausilio di un riparatore di lavatrici durerà poche ore.

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Troviamo un alloggio incredibile dove per parcheggiare le moto al sicuro ci fanno passare dentro casa poi, mentre stiamo provvedendo alla manutenzione delle moto, improvvisa e inaspettata ci investe una tempesta di sabbia finissima che penetra dappertutto. Mi ranicchio a testa in giù ma sputerò ugualmente sabbia per tutta la settimana successiva.

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24 Aprile 2000: Douz – Ksar Ghilane

Lasciamo Douz per prendere la famosa “Pipe line” un’autostrada sterrata larga sei metri che collega i pozzi di gas naturale verso sud passando anche per la famosa oasi di Ksar Ghilane.

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Finalmente uno spasso!!! Il fondo della “Pipe” è il micidiale “tol ondule”. Una teoria afferma che si formi con il continuo passaggio di mezzi i cui ammortizzatori alla lunga formano tutta questa serie di onde durissime (sono comunque accettate altre teorie) che ti smontano letteralmente la moto a velocità medie… quindi, considerato che dobbiamo fare circa ottanta km. e che una media di 10-15 Km/h non ci convince molto, propendiamo per una seconda soluzione: via! Alla prima bucona vado dentro, ne esco come una palla da bowling lanciata da King Kong, rimango in piedi ma ho storto il cerchione posteriore… ci fermiamo, assicuriamo con il nastro americano qualche cosa che rischia di staccarsi dalla moto e proseguiamo più guardinghi anche perché banchi di sabbia ci tendono insidiosi agguati. Vediamo arrancare due GS che non affondano solo perché tenuti a galla dalle borse laterali… Arriviamo a Ksar Ghilane ben oltre l’ora di pranzo… spettacolo indimenticabile: il grande Erg Orientale si spalanca di fronte a noi, sabbia che è cipria nella consistenza e nel colore accoglie i DR e nel mezzo delle dune una macchia verdissima.

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Negli anni ’50 una spedizione italiana alla ricerca del petrolio effettuò nella zona delle trivellazioni. Qui, invece del petrolio, tirarono fuori acqua a 35°. Oggi due bocchettoni da trenta cm. hanno formato un laghetto (balneabile!) contornato da una lussureggiante vegetazione di palme ed eucalipti.

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Ci tuffiamo a pesce dopo aver appoggiato le moto agli alberi e dopo un fantastico bagnetto, andiamo a correre a piedi nudi sulle dune fino a quando non ci avvertono della probabile presenza di scorpioni. Torniamo zampettando come su un campo minato per piantare la tenda.

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Qui abbiamo la lieta sorpresa di incontrare gli amici del “Range Rover Club Italia” che ci rifocillano con una stratosferica “Amatriciana”; fraternizziamo, Stefano tiene come al solito banco e ci invitano la stessa notte ad un giro sui loro fuoristrada. Accettiamo di corsa e ci ritroviamo con le chiappe sui durissimi passaruota di un “Discovery” su e giù per le dune fino a quando a causa della “cagnara” attiriamo una pattuglia dell’Esercito che ci redarguisce e ci riaccompagna all’oasi in fila indiana e con la coda tra le gambe.

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25 Aprile 2000: Ksar Ghilane

Metto con circospezione il naso fuori della tenda perché sento degli strani grugniti e mi ritrovo a tu per tu con una mandria di dromedari all’abbeverata nel torrente che esce dall’oasi… meno male che non li portano al laghetto!

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Finalmente con le moto scariche affrontiamo le dune pensando di raggiungere il vicino fortino della Legione straniera mentre tutto intorno a noi dei tedeschi, tirate fuori le moto da cross dai camion, saltano e si divertono come pazzi. Noi arranchiamo con i gloriosi ma pesanti DR, perdo di vista Stefano cado e ricado nella sabbia fino a quando esausto mi siedo sulla cima di una duna ad aspettarlo… torna dal fortino in compagnia di un solitario viaggiatore trovato esausto accanto alla sua XT 600. Stefano lo ha aiutato a tirare su la moto, e lo riaccompagna all’oasi, mi raggiunge, mi “raccatta”, e torniamo alla tenda. Grande Stefano!

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26 Aprile 2000: Ksar Ghilane – Djerba

Lasciamo con tristezza Ksar Ghilane e ripercorriamo spediti la “Pipe line”. Mi sento più sicuro e guido meglio, tagliamo per una zona montuosa affrontando una serie di mulattiere e raggiungiamo Djerba. Ce lo avevano detto tutti che era brutta, ma noi no, volevamo giudicare da soli. E’ brutta. Garantito. Piantiamo la tenda su una spiaggia in prossimità dell’aeroporto, due tunisini ci invitano nel loro casotto di frasche sulla spiaggia per una grigliata di pesce ma decliniamo gentilmente e ci addormentiamo con i coltelli accanto ai sacchi a pelo.

27 Aprile 2000: Djerba – Kairouan

Scappiamo di corsa da Djerba e ci dirigiamo verso Kairouan città santa dell’Islam e non appena entrati in città veniamo affiancati e scortati fino ad una “pensione”. Mi faccio la doccia vestito per ottimizzare i tempi, stendo la biancheria e ci ributtiamo nella Medina. Partecipiamo in qualità di stranieri ad una epica partita di calcio di fronte alla Moschea principale. Uno per parte, loro molto “brasiliani” noi a randellare come si deve: finisce con un salomonico 5 a 5 e le foto di gruppo. Con le nostre nuove guide, ci addentriamo nei vicoli e scopriamo angoli che da soli sicuramente non avremmo mai visto.

28 aprile 2000: Kairouan – Tunisi

Passiamo a salutare il gentilissimo Anas Aidi che parlando italiano ci ha fatto da cicerone la notte prima e prima di salutarci ci regala due rose del deserto.
Prendiamo la strada per Tunisi fermandoci a mangiare, tra gli strazianti belati di quelle ancora vive, un chilo e seicento grammi di pecora in un sporco chiosco (lo iscriviamo al club ad honorem).

Incontriamo di nuovo i rangeristi e facciamo un tratto di strada insieme….

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Entriamo a Tunisi storditi dalla dimenticata confusione e ci dirigiamo al porto con i nostri bei biglietti in bocca (Lire 255.000). Qui rivediamo tante facce conosciute all’andata. Ci guardano con occhi diversi e non ci snobbano più. Siamo vivi, rattoppati con il nastro adesivo, cotti dal sole, impolverati e puzzolenti…insomma veramente SPORCHI. Ci vengono incontro e ci chiedono dove siamo stati, quanti km e su quali piste. Rispondiamo a tutti e ci sentiamo come loro… mi guardo con Stefano e al volo capisco che tutti e due ci sentiamo migliori.
Grazie amico mio. Mi sono divertito, mi sono conosciuto meglio e guardando te ho anche imparato a guidare meglio.

29 Aprile 2000: Napoli – Roma

Prendiamo l’autostrada sotto una pioggia battente e fredda. Arrivo sotto casa, sono stanco morto, scendo e la moto cade, esausta pure lei, a terra…mi precipito a rialzarla e cerco subito la Rosa del Deserto con un groppo in gola…tiro un sospiro: è intatta.

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