Sesta ed ultima puntata: Viscri, i Maramures e il Cimitero Allego.
Il suono forte delle cicale e il vento tra gli alberi e nulla più. Sguardi timidi da adolescenti mentre facciamo colazione con delle vecchie merendine secche e un caffèlatte gusto Montedison. Il nostro imbarazzo non riusciamo proprio a nascondercelo dietro il silenzio di questa mattina. Nessuno di noi 4 ha proferito parola, nessuno che ha fatto un timido accenno alla notte appena passata nel convento delle sorelle rumene.
“Chissà se il Saraceno ha beccato qualcuna” – “Chissà se il Profeta o l’Afghano poi con le sorelle del primo piano ha combinato qualcosa” – “Chissà!?”
Domande che non ho il coraggio di fare adesso e resteranno lì appese nella mia testa per i prossimi giorni. Occhi ancora imbambolati nelle dolci pieghe delle lenzuola bianche di una notte che non vogliamo finisse più e un “Daje!” a farci da sveglia e rimetterci al mondo.
Un rapido sguardo alla mappa, si monta in sella e ci muoviamo in cerca di guai, direzione Nord per avvicinarci al punto di rientro e iniziare a puntare l’anteriore verso casa.
Una Romania schietta e sincera sotto un dolce sole estivo ci fa da palcoscenico in questi chilometri di rientro. Una natura ancora incontaminata da scoprire ad ogni giro di ruota, strade sterrate in quota che affacciano su vallate verdi. Casette di legno e carretti ancora trainati da cavalli. Persone squisite che hanno sempre un sorriso di benvenuto.
Di strada ne facciamo molta, attraversando intere regioni e spostandoci a zig-zag sulla cartina rumena. L’ennesimo passo affrontato allegramente e il tempo cambia bruscamente. Il sole lascia il posto a nuvoloni neri e quella che era una semplice strada bianca di campagna si trasforma in una striscia marrone di fanghiglia su cui i nostri tasselli non posso far altro che ballare e noi sulle moto in un equilibrio coreografico come funambolici ballerini di Rockabilly & Lindy Hop sempre con un grosso sorriso sulle labbra perchè si sa che alla fine noi siamo contenti quando le cose prendono una brutta piega.
Sport multidisciplinari
Tra i vari sport che vengono definiti multidisciplinari troviamo:
- Decathlon (100 m piani, salto in lungo, getto del peso, salto in alto, 400 m piani, 110 m ostacoli, lancio del disco, salto con l’asta, lancio del giavellotto, 1500 m piani)
- Biathlon (sci di fondo e tiro)
- Pentathlon (tiro a segno, nuoto, scherma, equitazione, corsa campestre)
- Triathlon Ironman (3.800 m di nuoto, 180 km in bicicletta, 42,195 km di corsa)
A questa cosa ci ho pensato dopo una tranquilla mattinata di esplorazioni enduristiche assieme ai miei compagni di viaggio. Sudato fradicio con i tendini lesionati e lacerati dal dolore, i muscoli ormai un fascio inerme di carne scossa da violenti spasmi, le ossa maciullate da infiniti traumi contro le sporgenze della moto. Addosso stivali, casco, pantaloni e giacca fuori marrone di fango e terra, e dentro giallo ocra di sudore acre e muffa umida. Le moto (230kg scariche) portate a spinta a piedi per kilometri, i piedi per metà immersi e lessi in putride pozzanghere, rincorse folli su salite viscide, tuffi carpiati quando l’anteriore scarta.
Perchè? Perchè, mi chiedo, il viaggiare in moto non è presente nell’elenco degli sport multidisciplinari? Eppure c’è tutto: trekking con stivali, tiro alla fune della moto, lancio in lungo della moto, tuffi, danza moderna.
Abbandoniamo l’idea di proseguire sulla strada in cui stiamo ballando da ore e ripieghiamo su asfalto idrorepellente e antidrenante molto più scivoloso del fango di prima.
Un frugale pranzo in desolato mini-market che vende sopratutto immagini sacre, ceri per i morti, rosari e pane e salame. La persona che ci serve è un bellimbusto in divisa, o tunica, forse un prete; non ci rivolge nemmeno la parola nè ci guarda, nonostante cercassimo chiassosamente di attirare la sua attenzione.
Altra strada e tempaccio ad accompagnarci. Ci teniamo alla larga dalle grosse (si fa per dire) arterie di comunicazione guidando su piccole stradine di campagna. I piccoli villaggi che ci si parano davanti hanno tutti lo stesso lietmotiv: la prima linea di case che affaccia sulla strada ha una struttura di cemento armato e qualche villetta tra il barocco e il camorrismo. Solo 2 tonalità di colore: quello originale rimasto intatto sul retro mentre il lato strada il colore assumeme una tonalità virata decisa sul grigio della polvere depositata dalle auto di passaggio. Dietro il primo muro di case poi si distende fetida la più classica barraccopoli fatta di buste e scarti. Poche anime annoiate sedute su sghembe sedie ad osservare la strada.
Viscri
L’asfalto finisce a circa 5 km da Viscri, da lì in poi una strada di buche e breccia ci porta fino alla piccola piazza centrale, in pratica un semplice incrocio, del piccolo Villaggio Sassone di Viscri. Rimaniamo subito colpiti dalla bellezza pastello, quasi da fiaba, di questo piccolo paesino. Il Saraceno spinto da curiosità si dirige lentamente su per la stradina che porta tra le case di marzapane arroccate poco più sù. Lo seguiamo. Il ghiaione man mano che saliamo si fa più profondo e davanti all’unico bar del paese dove sono seduti pochi turisti e alcuni lavoratori Fabio non riesce a frenare e in sella al suo Dominator si presenta davanti a tutti con una fragorosa caduta sulla breccia smossa.
Si alza al volo come niente fosse, due manate a pulirsi la polvere e ordina una birra all’oste appena uscito dal bar e accorso in suo aiuto. “Fai 4 birre allora!” Esclamiamo da dietro assicurandoci anche noi il premio dopo una bella giornata in sella. Nemmeno ce lo diciamo e una volta seduti al bar sappiamo già che la notte la passeremo qui.
C’è da trovare un posto dove dormire, una camera dove stare, una branda, un’amaca, un letto dove passare la notte. Qualsiasi posto andrebbe bene, ci accontentiamo di poco noi.
Una Golf nera si ferma proprio di fronte al nostro tavolino, un fischio secco e una mano gigantesca da metalmeccanico si affaccia dal finestrino intimando a quello più a portato di mano di avvicinarsi. Elia si alza e va da lui. Il proprietario dell’auto a cui è attaccata la gigantesca mano sa dove possiamo passare la notte. Un visibilmente preoccupato Elia monta in auto al posto passeggero e sgommando sparisce assieme alla Golf in una nuvola di breccia e polvere.
Lo aspettiamo per 30 minuti, 1 ora, 1 ora e mezza e l’unica nostra preoccupazione è che la sua birra lì al centro del tavolo ormai sarà calda.
La Golf nera ritorna, Elia scende contento e sorridente, il guidatore ci saluta con la mano metalmeccanica e via sparisce da dove era venuto.
Elia euforico – “Quello della golf nera mi ha portato in un posto. Non potete capire cosa mi ha fatto vedere!”
Noi disgustati – “Non vogliamo saperlo, tranquillo”
Elia risolutivo – “No no no … muoviamoci, vi ci porto subito”
Paghiamo le birre, riprendiamo le moto e seguiamo per l’ennesima volta in questo viaggio il Profeta.
Il casale degli Sporchienduristi
Elia ci fa fermare davanti ad un grande cancello di legno, con una vecchia chiave lunga almeno 10 cm che tira fuori dalla giacca della moto molto lentamente e con ampi gesti vistosi si para davanti e ci fa chiudere gli occhi, e noi 3 come ragazzini stiamo al gioco. Si sente il chiavistello girare con fatica, un rumore di ferro e rugine, poi i cardini stridono e le due ante si aprono assieme ai nostri occhi.
La vista che ci si para davanti è un collasso di stupore, increduli scendiamo dalla moto e varchiamo la soglia a passetti leggeri per non rovinare questo sogno. Un intero casale tutto per noi.
I proprietari del casale sono Lilli e Nello che vivono in una casa poco più giù, ci aspettano per cena. Il prezzo pagato per dormire e mangiare è quello più alto dell’intero viaggio in Romania, ma bisogna dire che ne valeva davvero la pena, ogni singolo Leu rumeno sborsato è stato un investimento in serenità e relax.
La cena preparata da Lilli è ottima, il vino un po’ tradisce ma scende giù piacevole, un fresco rosè rumeno che si rientra canticchiando tutti e 4 abbracciati.
La mattina dopo ci si sveglia con addosso una rilassatessa che non si vedeva da giorni. Siamo contenti e gioiosi, ci diciamo buongiorno a vicenda, ci passiamo con educazione le cose, ci sentiamo normali.
Prima di fare due passi in centro proviamo a fare il bucato, lo stendiamo e dopo 3 minuti inizia a piovere. Facciamo spallucce, ritiriamo tutto assime e riammucchiamo i vestiti mezzi zuppi in una cariola, ci penseremo dopo. Piove a dirotto ora e ci spostiamo nel fienile approfittando per sistemare le moto. A torso nudo e capelli bagnati dalla pioggia e lucidi di sudore ci aggiriamo canticchiando in un fienine in Romania in quadretto che stava diventando troppo gay frendly, almeno a giudicare dalle facce dei nostri vicini che ci guardavano incuriositi oltre lo steccato.
Ecco il sole e via nello stuscio del countryside rumeno. Alla fine però, ad essere sinceri, Viscri sotto il suo velo fatato è in fin dei conti molto cara e abbastanza turistica. Tutte le case vengono mantenute in perfetto stato tra lenzuola di cotone e pareti pastello appositamente e solo per i turisti. A conferma di ciò intravediamo un mastodontico pulman arenarsi sul ghiaione della strada principale e vomitare in strada orde di turisti mordi e fuggi, sandali e fotocamere.
Ripieghiamo sulla periferia, forse la zona più verace di Viscri, dove vivono i vaccari, i fabbri, i contadini. Dove i ragazzini giocano per strada con fango e carretti di legno.
Rientriamo per cena e Lilli apparecchia una semplice tavola fuori in giardino. Non possiamo chiedere di meglio.
I Maramures
Restano pochi giorni di viaggio e li sfruttiamo per raggiungere la regione dei Maramureș. Si trovano a nord della Transilvania lungo il corso del fiume Tibisco. Famosa per il suo artigianato e per l’arte di lavorare il legno. Bravi al punto di riuscire a costruire intere chiese senza far uso di chiodi, ma solo incastrando i vari pezzi di legno. Alcune di queste opere con campanili che arrivano anche a 70 metri di altezza sono Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Prendiamo qualsiasi stradina che punta a Nord-Ovest, ci arrampichiamo e scaliamo vette secche e aspre che sembra di essere in Trentino. Poi un altipiano sferzato da un vento freddo e ora siamo a Campo Imperatore in Abruzzo. La strada scende lesta e segue il corso di un fiume che a tratti invade la carregiata, pozzanchere lunghe e profonde ci sbarrano il passo. Poi un guado abbastanza insidioso e noi fermi e dubbiosi sul da farsi; il Saraceno scansandoci malamente e facendosi largo tra le moto petto in fuori e sguardo fiero: “Ora vi faccio vedere io come si affronta un guado”. Prende la rincorsa e si tuffa a velocità folle, due enormi ali di acqua si levano ai suoi lati, riusciamo addirittura a vedere il letto del fiume che si richiude subito e ingoia il nostro amico. Lo ripescheremo più tardi.
Nel Parco Nazionale di Ceahlău l’unico posto dove dormire che troviamo è in uno strano complesso di casette di legno appena realizzate che puzzano di resina fresca. Servono agli operai, carpentieri e camionisti che lavorano alla costruzione di una nuova strada che passerà proprio di qui. L’ambiente è abbastanza macho-macho-man: tutti grossi e con baffi a manubrio e peli arricciati sul petto. Cerchiamo di adeguarci pavoneggiando la nostra virilità: io a torso nudo petto a piccione, Elia rulla una sigaretta senza filtro, Fabio esagera e lametta e asciugamano inizia a radersi allo specchietto delle moto. La sera la passiamo seduti al tavolo nella sala mensa cercando di non ridere allo show di karaoke allestito da tutti sti maschioni.
Nel cuore dei Maramures, quasi al confine con l’Ucraina la bellezza delle donne si fa improvvisamente più elegante e felina. La fortuna vuole che arriviamo a Tulgheș in un giorno di festa dove si celebrano centinaia di matrimoni. Le strade sono invase da suv e gente festante, macchine strobazzanti e musica popolare a tutto volume, una moltitudine colorata che balla in cerchio in abiti tradizionali, una festa generale fatta di chiese di legno, tacchi a spillo e cosce lunghissime di donne stupende.
Il Cimitero Allegro
Ci sono vari modi per affrontare la morte. A Sapanta, in Romania, lo fanno così, con i loro Cimiteri Allegri. Un campo santo ironico dove tombe e croci sono tutte in legno e tutte coloratissime. Simpatici epitaffi che ricordano in maniera umoristica i vizi del defunto. Una delle citazioni più famose che sono state raccolte anche in un libro è questa: “Lui amava i cavalli. Un’altra cosa amava molto. Sedersi al tavolo di un bar. Accanto alla moglie di un altro”.
Rientro
Un gusto di melanconia agrodolce accompagna il nostro rientro a casa. Lasciamo la terra di Romania puntando verso Ovest. Ci aspetta ancora molta strada sotto i tasselli, che affrontiamo sempre con leggerezza e ironia al manubrio, proprio per non farsi scappare nessuna delle possibili disavventure sempre in agguato.
Fine
Morobo’, sei il Gregory David Roberts italiano.
Fantastico, coinvolgente, avventuroso… poetico. Bravo veramente. E pensare che quando t’ho conosciuto t’avrei volentieri venduto ad un ristorante cinese.
Ah ma quando torno in Italia mi accodo con voi eh…!!!
Con uno che si chiama Manuel Fantoni ci partirei anche domani. 😊
Ma che fine avete fatto?
Eccitati per le novita’ Yamaha e KTM?
Certo che no! Noi siamo sempre eccitati, altro che Yamaha e KTM.
Si ma che fine avete fatto??????
siamo sempre con la prima ingranata aspettando una scusa buona per partire
Bella Moro! Non so chi sia Gregory ecc.ecc. ma i tuoi racconti sono proprio ben fatti! Vien voglia di montare il tassello… ;-)