Colle Tasso Sud, Stonio, S.Chirico, Ara Salere: per noi, oggi, la rassicurante toponomastica autostradale finisce a Vicovaro. E’ ancora inverno, ma la giornata è splendida e promette bene. Ci aspetta una rilassante passeggiata in moto su sterrati amichevoli, il genere di uscita che ti riappacifica col mondo senza chiederti nulla in cambio. Avremmo dovuto essere in tanti, ma tra impegni (C’è il Motodays alla Fiera di Roma) e scuse (Mi farebbe piacere, ma c’è mia suocera a pranzo) ci siamo trovati solo in due, io e Capitan America. Dai, andiamo, manca ancora un po’ di strada.
Poi però… sapete tutti di cosa parlo: stai andando felice per la tua provinciale, ma tra una piega e l’altra, con la coda dell’occhio l’hai vista, quella sterratina invitante. L’ha vista Capitan America, che mi precede, e l’ho vista anche io. Lui sa che io so che l’abbiamo vista entrambi, e che tutti e due pensiamo la stessa cosa: guarda un po’ quel guado… Nel retrovisore mi vede accostare e pensa, facendo subito inversione per raggiungermi:
“Lui è peggio di me”
Apriamo un cancello sbilenco, con tanto di permesso ufficiale del proprietario del terreno, un vaccaro che ci dà la sua benedizione non appena si accorge che siamo due innocui mentecatti, e siamo subito di fronte al torrente. E’ bellissimo, scintillante. Ora, io so benissimo di non avere talento per il fuoristrada. Perciò cerco di rimediare con la buona volontà, con l’entusiasmo. Gran parte del mio cervello, da bambino, è stata plasmata da ore di contemplazione dei depliant di Big Jim, l’avventuroso bellimbusto snodato prodotto dalla Mattel. Controparte eterosessuale di Barbie (ma egualmente improntato a becero conformismo conservatore), dotato dei mezzi più avanzati e virili, ma soprattutto di un onnipresente e provvidenziale verricello, Big Jim si traeva d’impaccio nelle situazioni più estreme. Era un duro, Big Jim.
Sotto l’effetto stupefacente di tali reminiscenze infantili, affronto il guado come sempre affronto gli ostacoli: in piedi sulle pedane, peso arretrato, e gas. Il fondo del torrente è pieno di grosse pietre lisce come palloni da calcio, viscide di alghe. Lo so perché ora ci sono sdraiato sopra, il mio zaino è sommerso, la moto è stesa ed io ho appena fatto il primo bagno del 2012.
Non penso, in quel frangente, di essere come Ciotti speronato nel fiume da Peterhansel alla Dakar, penso di essere un coglione. Terrorizzato dalle storie di paura che narrano di moto che non si sono mai più riaccese dopo un bagno nel fiume, non essendo io Big Jim e non avendo perciò alcun verricello a disposizione, invoco l’aiuto di Capitan America.
E lui arriva, e con la sua forza prodigiosa solleva la mia moto, l’asciuga con una fiammata dalle narici e mi fa pure il tagliando. Infatti la moto riparte, risalgo in sella e supero il guado. Mi spoglio, svuoto gli stivali dall’acqua e dai pesciolini, strizzo ben bene maglia e guanti, e decido di approfittare della pausa per fare la consueta telefonata a mia moglie.
Quella in cui dico “Ciao tesoro, siamo in campagna, sì una tranquilla strada bianca, ci sono le margherite ed è tutto molto bello e sicuro”.
Ma la tasca dove tengo il telefono è aperta, il cellulare non c’è: è caduto nel torrente. E lì lo ritrovo, spento, coreanamente guasto. Vabè, rivestiamoci.
La sensazione che dà l’indossare una maglia bagnata è imbarazzante. Capitan America mi dice “Però dai, in fondo è divertente”. In quel momento, il divertimento che desidero è quello di giocare al mercante in fiera, a Natale, mangiando panettone al calduccio.
La mula
Quello che ci attende è il fallimento, nella sua espressione più pura. La sterrata diventa una mulattiera, la mulattiera diventa balorda, la pendenza si fa quanto di più ostile possa ostacolare le nostre ridicole gomme semitassellate.
Cado altre tre volte, mi pianto in mezzo ai rami, mi chiedo perché non abbia scelto una moto stradale. Invidio quelli col V-Strom, che vedo andare al mare a mangiare gli spaghetti alle vongole con la ragazza e il bauletto Givi da 52 litri, felici e contenti. Il mio pensiero si fa semplice, cristallino, radicale: “Vaffanculo, enduro!”.
Dobbiamo tornare indietro. So che da qualche parte, nell’aldilà dei giocattoli anni ’80, Big Jim mi sta guardando con disprezzo. E questo mi rende depresso. Bisogna passare di nuovo il guado con le pietrone viscide. E ce la faccio, zampettando, con uno stile discutibile certo, ma ce la faccio. E senza verricello. Vaffanculo, Big Jim.
La sterrata tranquilla
Recuperato l’amico asfalto, dove ci possiamo rinfrancare dalle fatiche lasciate alle spalle, raggiungiamo la meta che ci eravamo prefissati. Questa sì che è la gita che volevo: una bella sterratina tranquilla, un dolce saliscendi di collina in collina. Le margheritine ancora non ci sono, ma è come se fossero già lì.
Ma dietro la collina, cantava De Gregori, ci sta la notte, crucca e assassina. Nel mio caso, prende la forma di una discesa innevata.
Che ci fa qui, la neve? Che ci faccio di nuovo a terra, con la moto sottosopra? Perché non sento più la pedana destra, e perché non funziona più il freno posteriore? Provate a fare una discesa sulla neve senza freno, e poi mi dite che ne pensate. Io, che ho sconfitto Big Jim, ce l’ho fatta.
Però la pedana sembra piegata all’indietro, e si è ingranata col pedale del freno. Ma ecco, nuovamente provvidenziale, arriva Capitan America. Brandendo un masso di dimensioni colossali, novello polifemo con tutti e due gli occhi, mena un colpo micidiale alla pedana.
E’ di nuovo a posto, il freno funziona e sento che la centralina è stata rimappata con la forza del pensiero. Grazie, Capitan America! Proseguiamo spensierati fino al Lago del Turano, e giunti ad un borgo turistico ci rifocilliamo con delle schifezze fritte.
Babbo Natale non esiste
Siccome non c’è due senza tre, sulla strada del ritorno, non paghi delle avventure affrontate, col solito cenno d’intesa imbocchiamo una carrareccia a caso.
Più saliamo in quota, più è bella. Più andiamo avanti, più è panoramica. Più diamo gas, più diventa una merdosa linea tagliafuoco della Forestale, che scende a picco sul lago. Non solo riesco, senza aiuto, a girare la moto: riesco a ripartire su una salita ripida, di terra smossa!
“Ma allora – penso – non sono una pippa irrecuperabile!”. Tornando indietro, accade l’impensabile: Capitan America cade.
Avete letto bene: proprio lui, l’indomito supereroe dal discutibile gusto estetico (stivali marroni, pantaloni rossi, giacca nera). Osservando l’Evento, ammutolito e sgomento, provo quello che ho provato da piccolo, quando mi è stato svelato che Babbo Natale non esiste.
Lo raggiungo. Lo guardo da vicino. Mi accorgo che è di carne ed ossa, proprio come me. Per fortuna non si è fatto niente, anche se ha battuto la testa. E’ un uomo anche lui, allora! Siamo entrambi misere creature, sporche di fango, che cercano un po’ di enduro su questa Terra, e che raggiunta la Salaria, potranno tornare a casa.
Testo: Peggio.
Foto: Peggio, Capitan America.