Quarta Puntata: partiamo da Sur e arriviamo a Muscat, concedendoci qualche giorno di vacanza.
Sur – la Casa Del Diavolo – Sur
24 Agosto
Oggi tocca alla zona a ovest di Sur.
Stolti noi che pensavamo, una volta raggiunta la costa, di essere accarezzati dalla fresca brezza del mare. La brezza c’è ma è come quella che esce dal forno di casa quando tiri fuori la teglia con il pollo arrosto. E i polli siamo noi.
Però, sarà l’abitudine, sarà la consapevolezza di essere sfuggiti all’abbraccio mortale del Rub’ al-Khali, viaggiamo abbastanza spediti e decisi.
Da Sur in direzione Muscat c’è l’unico tratto autostradale di tutto l’Oman.
Moto scariche, vento in poppa e strada libera.. 130 km/h con la catena montuosa dell’Hajar a sinistra e il Mare Arabico a destra.
C’è uno che con una scopa in mano è intento a togliere la sabbia dall’autostrada. Ormai non ci stupiamo più di niente.
L’ennesimo punto Gps indica una delle più belle doline carsiche del Paese. La chiamano la Casa Del Diavolo.
Arriviamo precisi sul punto indicato ma intorno ci sono solo sassi e polvere. Trotterelliamo un po’ nei dintorni finché non troviamo il sito.
Parcheggiamo le moto e andiamo a rompere i coglioni al custode che è raccolto in preghiera. Ci apre il cancello e se ne ritorna di corsa dentro casa.
Noi avanziamo verso la Casa del Diavolo senza timori reverenziali. L’inferno già lo conosciamo e non ci fa paura. Ci mettiamo in costume e scendiamo nell’antro a cercare il padrone di casa.
Bagno memorabile in un’acqua color smeraldo a 27 metri dalla superficie. Se non fosse per le decine di “pesciolini cattivi!!” (cit. Daniela) che ci assaltano per morderci la pelle carbonizzata dal sole e per la temperatura da pentola a pressione, ci si potrebbe passare una giornata.
Risaliamo in superficie e incontriamo 4 italiani che sono lì con un viaggio organizzato e l’autista che li attende in macchina fuori dal sito.
Ci regalano il loro pranzo che accettiamo senza tanti complimenti.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo all’imbocco del Wadi Tiwi e del Wadi ash Shab nei pressi della bella spiaggia di Fins.
Io e il Moro sia ormai talmente calati nei personaggi locali che pure nelle foto ci confondiamo con loro.
Appena ci accorgiamo che il cervello fuso comincia a colare fuori dalle orecchie riprendiamo le moto e ce ne torniamo nel frigo dell’albergo prima che sia troppo tardi.
Con il buio e con prudenza, rimettiamo il naso fuori e ci addentriamo nei meandri di un souq non particolarmente interessante.
Al ritorno facciamo un figurone con i passanti aggiustando sul marciapiede la catena alla bicicletta di un bambino poi ci fermiamo in un coffee shop dove il secondo giro di “solemani” (tè alla menta) ci viene offerto dal preside di una scuola del posto e mentre il Moro stringe amicizia con un playboy locale che smozzica qualche parola d’italiano, assistiamo impotenti alla orribile e truculenta penitenza alla quale è costretto l’uomo che sta perdendo a carte nel gruppo accanto a noi…
Sur – Muscat
25 Agosto
Autostrada fino a Muscat. Il caos ci aggredisce per la prima volta dai lontani tempi di Dubai.
Suggerisco alla scalpitante truppa l’abbandono delle giacche per evitare collassi in mezzo al traffico di mezza mattina.
Il Gps, esausto e confuso pure lui dal caldo, sì impappina e rinuncia, allora il Moro prende le redini della situazione e ci conduce letteralmente in porto. Infatti al porto di Muscat onoriamo con la nostra distinta e signorile presenza un hotel affacciato direttamente sull’animatissimo mercato del pesce.
Parcheggio tamarro nell’atrio e trascinamento di membra e mercanzie in stanza.
Litighiamo su cosa accendere e a che potenza regolare i vari artifizi presenti nella stanza. C’è un bel condizionatore Samsung 5000 di cilindrata, rigorosamente monomarcia, ad iniezione diretta. A parte i pezzi che perde appena lo accendi fa il rumore di un treno merci in pieno deragliamento. Sul soffitto clamorosamente è inchiodato un ventilatore da tavolo travestito da elicottero ma al di là di questi piccoli inconvenienti, i due attrezzi fanno, con fatica, il loro sporco lavoro.
Dopo solo cinque minuti la stanza ha preso le sembianze del quartiere Zen di Palermo.
Giusto il tempo di una doccetta bella calda che arriva il messaggio di risposta di Aldo al nostro precedente con il quale lo avvertivamo di essere arrivati nella capitale: “Stasera cena in Ambasciata”.
Per la prima volta in due settimane mi si gela il sangue.
Come stasera? Non ho neanche un pantalone pulito!!!!
Di corsa ci precipitiamo da “Lulù” (notissima catena di centri commerciali presenti nel Golfo) e compriamo un paio di bei pantaloni verde muffa da abbinare alla maglietta rossa scelta e conservata con cura per non sfigurare al ricevimento.
Alle 19 in punto siamo all’appuntamento con Aldo al parcheggio dell’Hotel Intercontinental di Muscat. Aldo è già lì che ci aspetta in auto in compagnia della sua compagna germanica.
In corteo arriviamo di fronte al cancello dell’Ambasciata d’Italia a Muscat. Parcheggiamo bene e ravviandoci i capelli con un po’ d’umidità trovata lì per caso, ci avviamo con passo solenne verso l’imponente cancello d’ingresso per onorare la nostra promessa e fare il famoso “doveroso atto d’ossequio”.
Scampanellio ed ecco arrivare un maggiordomo in livrea pronto a riceverci. Non apre subito, probabilmente scambiandoci per dei postulanti o per dei venditori di calzini di lana, poi guarda bene e tira due sospiri: il primo di sollievo per la presenza di Aldo il secondo un po’ preoccupato per la presenza di Moroboschi e ossequioso ci fa entrare.
Ad attenderci sulla marmorea scalinata c’è impettito S.E. l’Ambasciatore d’Italia in Oman, Dr. Capitani che appena capisce con chi avrà a che fare, si scioglie immediatamente dalla posa da cerimoniale e ci si fa incontro gioviale e forse pentito dell’invito. La faccia, per intenderci, è come quella di Spencer Tracy nel film “Indovina chi viene a cena” con Moroboschi calato nei panni di Sidney Poitier.
Ci presenta la moglie e poi, circondati da maggiordomi e camerieri, facciamo il nostro trionfale debutto nell’alta società.
La residenza è splendida, arredata con gusto e arricchita da tanti “pezzi” di ogni parte del mondo che denunciano il girovagare nelle varie sedi diplomatiche e consolari del Dr. Capitani. Il Nostro, capita la situazione, non si fa tanto pregare e nonostante il Ramadan ancor incombente, apre con un eccellente aperitivo per poi condurci a tavola.
Distribuzione formalissima dei posti a sedere (la Signora Ambasciatrice ha la sfortuna di ritrovarsi a fianco di Moroboschi) e via alle danze. Arrivano due fiamminghe di fettuccine innaffiate da dell’ottimo Chianti.
Poi dopo il secondo giro di fettuccine (l’Ambasciatore è uomo di mondo ma anche, prima di tutto, italico papà premuroso e c’ha visto un po’ sciupati) arriva il brasato con contorno di verdurine, carotine e patatine.
Qui un impeccabile maggiordomo, visto il pur volenteroso Moroboschi in difficoltà nel servirsi con le pinzette dal piatto da portata sospeso drammaticamente sopra la sua spalla, dopo una rapida occhiata furtiva, gli favorisce la presa inclinandogli a 45° il vassoio.
Il Moro con un leggero e fine cenno della testa ringrazia e utilizzando le pinzette d’argento a mo’ di agricola paletta, si serve di conseguenza e senza tanti complimenti.
La serata scorre piacevole anche se, vista la presenza della tedesca che non spiccica una parola d’italiano, la lingua ufficiale nelle conversazioni è l’inglese. Daniela tiene botta e preserva le buone relazioni diplomatiche nonostante io e il Moro, sempre a bocca troppo piena e comunque avendo poca dimestichezza con la lingua d’Albione, le siamo più d’impaccio che d’aiuto.
A dispetto di cotanto stile e garbo il Moro regala alla raffinata platea due perle in rapidissima successione:
La prima rivolto al Signor Ambasciatore:
“Lei è la più alta carica incontrata in vita mia. Prima di Lei c’è stato il Preside di scuola quando mi ci hanno portato”
La seconda in risposta alla Signora Ambasciatrice che si ostinava a dargli del “Lei” per metterlo in imbarazzo:
“La prego mi dia del “tu” che già sto un po’ in difficoltà a coniugare i verbi”
Dopo cena l’Ambasciatore c’intrattiene in salotto con racconti illuminanti sull’Oman e gli omaniti.
E’ tardi quando, dopo aver firmato il libro degli ospiti e baciati gli Ambasciatori, reinforchiamo le moto e ce ne torniamo in albergo satolli e tronfi.
Muscat
26 Agosto
La principale attrattiva di Muscat è la moschea Sultan Qaboos. Il problema però è trovarla. Quasi tutto se non TUTTO in Oman porta il nome dell’amatissimo sultano e quindi gli ospedali, le scuole, i musei, le piscine comunali, gli stadi, le moschee, i centri commerciali, i parchi, tutto è stato battezzato “Sultan Qaboos”. Provate a chiedere voi un’indicazione a Muscat nominando “Sultan Qaboos”: se vi dice bene vi indicheranno la strada dove siete che guarda caso si chiama “Sultan Qaboos”, se vi dice male vi manderanno chissà dove, magari alla clinica veterinaria per dromedari che si chiama, pure quella, “Sultan Qaboos”.
Comunque alla fine dopo aver girato a vuoto per mezza Muscat ed essere arrivati di fronte almeno a cinque moschee che portano lo stesso nome, imbocchiamo la tangenziale per l’aeroporto internazionale A’Seeb e dopo circa venti km, alla nostra sinistra si staglia maestosa la moschea Sultan Qaboos, stavolta quella giusta. Parcheggiamo sotto gli alberi e ci indicano l’entrata riservata agli infedeli e ai moroboschi.
Pur nella sua modernità la moschea voluta dal sultano è grandiosa e affascinante. Colpisce la vastità dei suoi spazi aperti che si alternano ai motivi architettonici che slanciano e rendono ariosa tutta la struttura completamente rivestita di bianchi marmi di Carrara e che occupa una superficie totale di quasi 420.000 mq e può ospitare 20.000 fedeli dei quali 6.500 nella sala principale.
Lasciamo le ciabatte negli appositi armadietti e zampettando sul marmo tiepido nonostante gli oltre 47°, ci dirigiamo verso il cuore della moschea.
L’interno è faraonico nelle dimensioni e nei due splendidi elementi principali che ne caratterizzano la ricchezza e lo sfarzo: una serie di giganteschi lampadari di preziosi cristalli Swarovski e il più grande tappeto persiano esistente al mondo, un manto di 60 x 70 metri, del peso di 21 tonnellate, tessuto a mano con 1.700.000 nodi in colori delicatissimi da centinaia di donne iraniane.
Scattiamo con difficoltà un milione di foto (i sensori delle digitali hanno accusato lo sbalzo di temperatura tra l’esterno bollente e il fresco dell’interno) sotto lo sguardo vigile di guardie che, all’ora stabilita per la preghiera “ufficiale”, gentilmente, ci indicano la via per l’uscita.
Torniamo in “centro” e cerchiamo refrigerio, ovviamente non trovandolo, nel souq antico. L’odore di spezie ma principalmente di incenso e altre essenze aromatiche stordisce ed inebria. Ci rifugiamo in un negozio di iraniani e ci facciamo quattro chiacchiere con il proprietario e i commessi più interessati ad ascoltarci decantare le lodi dell’Iran che a vendere i loro bellissimi tappeti di seta.
Nel primo pomeriggio appena la temperatura raggiunge la soglia della fusione dell’atomo, come tre iso-topi ce ne scappiamo in albergo in attesa che la giornata sfiammi.
Quando usciamo ci infiliamo nei vicoletti del souq e io e il Moro facciamo due scherzi bellissimi; il primo a Daniela: appena si volta un attimo, scappiamo e ci nascondiamo dietro un muro per spiare la sua reazione sconcertata e preoccupata, il secondo a un ragazzo omanita che ha appena tirato fuori la moto da un portone… appena si gira il Moro sale sopra la moto e fa finta di fregargliela…l’omanita, che si chiama Hilal, la prende molto meglio di Daniela e, invece di insultarci, ci invita ad andare all’appuntamento con gli altri bikers di Muscat sul lungomare. Accettiamo volentieri e ci ritroviamo con i nostri cessi vecchi e luridi in mezzo ad una ventina di bolidi elaborati e tirati a lucido.
Comunque i bikers omaniti non ci fanno sentire a disagio e anzi, cortesi, fanno finta di apprezzare le nostre cavalcature ma si capisce benissimo che non le userebbero neanche come ferma porta per un pollaio.
Muscat – Nakhal – Ar Rustaq – Muscat
27 Agosto
I nostri obiettivi di stamattina sono i forti portoghesi di Nakhal e Ar Rustaq i più visitati di tutto il Sultanato, posizionati a nord di Muscat lungo la dorsale dei monti dell’Hajar.
Raggiungiamo Nakhal e parcheggiamo sotto le mura.
Siamo gli unici visitatori e ci sono tre custodi in panciolle intenti nella visione di una, immagino coinvolgente, soap opera indiana sottotitolata in arabo. Paghiamo il biglietto, ci raccomandano di non toccare niente, gli lasciamo caschi, giacche e impicci vari e iniziamo la visita. Il castello, restaurato di recente, sembra, come tutti i castelli presenti in Oman, fatto con sabbia, paletta e secchiello.
Il colore è tutto uguale e le torri sono le stesse che si ottengono rovesciando sulla spiaggia i secchielli pieni dai sabbia, compresi i merli. Ovviamente per alcune torri bisognerebbe avere dei secchielli giganteschi. Il restauro però li rende tutti un po’ troppo uguali e troppo “finti” compreso il ritratto che campeggia in una delle stanze….
Proseguiamo per il forte di Ar Rustaq a una sessantina di km. Anche questo è sullo stesso stile. Solo che il custode sta facendo la siesta al fresco di qualche anfratto e considerati i quasi 49 gradi che ci sono, se potesse mandarci “affanculo” lo farebbe volentieri.
Ci apre il pesante portone e poi, tornandosene velocemente al riparo, ci lascia solitari all’interno dell’enorme bastione. Daniela si siede all’ombra sconsolata: nella visita precedente le è scivolata a terra la macchinetta fotografica ed ora non funziona più.
Io e il Moro proseguiamo su strette scale, spazi angusti e antri oscuri. E meno male che Daniela non è venuta…in un corridoio buio il Moro si ritrova in testa un pipistrello, che fortunatamente non gli rimane impigliato tra la folta chioma e dopo una breve colluttazione vola via. Ritorniamo a Muscat abbastanza delusi dalla visita.
Siccome è presto e la giornata è ancora lunga, ci dirigiamo verso la vecchia Muscat, quella che fino a quarant’anni fa, prima della salita al trono dell’attuale Sultano Qaboos Al Said, era governata dal padre, Said Ibn Taymur, tradizionalista incallito, che al tramonto ne faceva chiudere i pesanti portoni lignei. Prima della salita al trono di Qaboos, che in pochi anni sta proiettando il Paese nel terzo millennio con opere faraoniche e infrastrutture modernissime, il Sultanato annaspava nel medioevo: ancora nel 1970 l’intera nazione disponeva di soli quattro km di strade asfaltate e l’energia elettrica era una chimera. Non esistevano scuole o ospedali degni di questo nome e l’apparato statale era più o meno organizzato ancora sui vecchi modelli tribali e beduini con i trasporti interni che si svolgevano a dorso di dromedario.
Oggi il Sultano è amato da tutti in quanto, oltre a mantenere rapporti amichevoli con i vicini e il mondo occidentale, reinveste i notevolissimi proventi dell’estrazione del petrolio, oltre che in qualche “piccolo gadget” personale anche in opere di pubblica utilità e stronca sul nascere qualsiasi tipo di opposizione a suon di regali: centinaia di pick up e abitazioni dotate di ogni comfort moderno vengono elargiti alla popolazione anche nei villaggi più sperduti.
Oggi, la capitale, pur mantenendo il discreto fascino della sua antica storia è in pieno fermento con palazzi governativi, Ministeri e la modernissima residenza del Sultano. Tutto è rigorosamente pulito, ordinato e a misura d’uomo: per fortuna il Sultano, pur essendo proprietario di uno degli Yacht privati più grandi al mondo (l’Al Said con i suoi 156 metri), non ama i palazzi troppo alti.
Proseguiamo oltre alla ricerca del Diving Center di Muscat che tutti ci indicano come un posto molto bello. Lungo la strada, hotel, lampioncini finto retrò e cascate fasulle denunciano il nuovo e futuro orientamento turistico e commerciale del Sultanato iniziato solo nel 1987.
Il Diving si trova in una favorevolissima posizione all’interno di una bella baia un po’ fuori Muscat…peccato che sulle isolette di fronte e sulle sponde circostanti stiano costruendo a rotta di collo e le gru, i cantieri e il cemento armato si stagliano drammaticamente in un panorama ormai innaturale.
E’ l’imbrunire e ce ne torniamo verso la città, c’abbiamo pure appuntamento con Hilal e gli altri per la solita birra (scherzo) sul lungomare.
Il gruppo è molto eterogeneo dal punto di vista stilistico: le moto sono tutte belve da strada più o meno acchittate ma è nell’abbigliamento tecnico o presunto tale che il biker omanita dà il meglio di se stesso in un puzzle di fantasia levantina e moda occidentale.
C’è di tutto: dal tutone di pelle da 10mm nonostante i 40° al calzoncini corto con lo stivaletto da qualifica.
Quello da oscar per la miglior interpretazione spetta però a un tipo leccatissimo e impomatato che gira con ginocchiere, gomitiere e pettorina da cross su una superbike. Sembra Robocop tutto nero.
Comunque dalle occhiatine maliziose che gli lanciano le ragazze da sotto i veli pare che il coatto arabo faccia la sua porca figura ed ottiene la nostra ammirazione.
Due chiacchiere tra motociclisti, quattro risate, tè al latte e 50 foto sanciscono l’estemporaneo gemellaggio tra gangs, poi in corteo ci riaccompagnano festosi in albergo.
Muscat – Soar
28 agosto
Tappone di trasferimento. Cielo grigio e cappa umida incombente. Il malumore serpeggia tra la truppa meteoropatica. Anche la decantata Soar, la città di Simbad il marinaio, altro non è che una serie di costruzioni moderne e senza tanti fronzoli lungo la costa. C’è un villaggio turistico svizzero di quelli a cinque stelle. Abbiamo una accesa discussione irreale sul tipo di clienti e sulla soddisfazione che si possa ottenere, dopo aver magari sborsato una barca di soldi, da un soggiorno in una struttura simile, quando al di là del muro non c’è niente che valga la pena di vedere.
Ad una Western Union cambiamo il minimo necessario per un pernotto e un pieno di benzina visto che domani mattina abbiamo intenzione di passare il confine con gli Emirati. Cerchiamo l’unico albergo della città ma facciamo avanti e indietro almeno quattro volte prima di individuarlo in mezzo a un vicolo. La prima ricognizione eseguita dal reparto esplorativo Daniela/Moroboschi non dà esiti negativi quindi, essendo anche l’unico in città, prendiamo i bagagli e saliamo in camera. Apro il frigo per metterci le bottiglie d’acqua e mi prende un colpo. Il frigo, rotto e spento, pullula di blatte che alla mia vista scappano impazzite.
Datemi i topi, i serpenti i pipistrelli e addirittura i moroboschi ma non gli scarafaggi…mi fanno troppo schifo. Cominciamo a schiacciare con ribrezzo quelli che ci capitano a tiro ma è una guerra persa, ci attaccano a ondate suicide. Appendiamo tutta la roba per aria e richiudiamo attentamente i bauletti per evitare di scorrazzarli per il resto del viaggio gratis. Annaspo nella mia residua forza interiore alla ricerca di un barlume di resistenza psicologica e mi ci aggrappo con tutte le mie forze anche perché gli altri due non sembrano particolarmente infastiditi dalle ripugnanti presenze; non ne trovo molta allora mi portano al mare per svagarmi un po’. Al rientro convinco Daniela e il Moroboschi a dormire con la luce accesa e i condizionatore al massimo: da qualche parte mi pare di aver letto che i maledetti bacarozzi sono infastiditi dal freddo e dalla luce.
Epica battuta di Daniela per sdrammatizzare: “Stanotte dormiamo con i Beatles ma non cantano e sono più di 4!” poi si tira su la coperta, si gira e si mette a dormire.
Nottataccia, non chiudo occhio mentre i due bastardi vicino a me dormono tranquilli….l’ultima volta che mi era capitata una cosa del genere per poco non davo fuoco a tutta la stanza…ma questa è un’altra storia….
Soar (Oman) – Dubai (E.A.U.)
28 agosto
All’alba scendiamo alla reception: m’incazzo e con gli occhi iniettati di sangue da una notte insonne gli chiedo se nel prezzo erano compresi pure gli scarafaggi e, se sì, se potevamo riavere i passaporti di ognuno di loro.
Ripartiamo e dopo un po’ compaiono i primi cartelli che indicano a caratteri cubitali “DUBAI”.
Invece che proseguire lungo la costa pieghiamo decisi verso l’interno in direzione della città di Hatta. Sbrighiamo velocemente le formalità di uscita dall’Oman e altrettanto velocemente quelle di entrata negli Emirati Arabi. Lo scenario delle montagne intorno ad Hatta è molto bello e poi la strada dritta in discesa verso Dubai scatena gli applausi del Moroboschi e mi fa quasi dimenticare gli scarafaggi. A destra e sinistra dune altissime a perdita d’occhio ci regalano l’ultimo esaltante saluto al deserto arabo.
Ci andiamo a insabbiare come fessi per scattare due foto e tra il sole, il caldo e la fatica nel tirar fuori le moto dalle sabbie mobili, ad un certo punto, stanco morto, mi stendo sulla sabbia. Da lontano Daniela e Moroboschi mi osservano… Daniela è leggermente preoccupata dal mio stato di salute, il Moro le risponde: “Ma no, vedrai che gli sarà caduto qualcosa in mezzo alla sabbia”. Un vero amico. Dopo un po’ mi riprendo e li raggiungo strisciando.
Ancor prima di trovare un albergo ci precipitiamo in aeroporto per assicurarci che le moto possano essere reimbarcate e rispedite a Fiumicino. Per fortuna ci imbattiamo nell’unico impiegato italiano della Emirates a Dubai. Non posso esprimere il sollievo che proviamo nell’incontrare Pier: ci fa accomodare, ci rifocilla, ci fa fare due risate e ci indirizza verso il settore degli spedizionieri.
Dopo qualche sondaggio presso alcuni agenti di trasporto indiani non proprio economici, prendiamo accordi con lo spedizioniere “Inter Freight L.L.C.” per rivederci il 31 Agosto mattina ed espletare tutte le formalità necessarie all’esportazione in Italia delle moto e poi, arrancando a gomitate nel traffico di Dubai, ci dirigiamo verso Deira, il quartiere vecchio di Dubai, trovando un alloggio ad un prezzo ragionevole (20 euro a testa) in un bell’albergo congelato gestito da gentilissimi filippini. Mi raccomando, “Interfreight Ltd.”: leggete questo nome e imprimetelo a fuoco nella vostra memoria caso mai doveste trovarvi a Dubai con la necessità di spedire anche solo una mutanda sporca.
Dopo aver scaricato i bagagli ce ne andiamo in giro e percorrendo finalmente in maglietta e calzoncini svariati km della Jumeirah, il lungomare di Dubai, visitiamo la prima delle tre isole a forma di palma – l’unica già completata – che si protende nel Golfo Persico, e poi ci gustiamo il tramonto dalla splendida spiaggia dominata dalla bellissima ed elegante Burj al-Arab, la Torre degli arabi, il simbolo mondialmente riconosciuto della sfrontata ricchezza dell’Emirato, un albergo da 7 stelle con 200 suite e 1.600 addetti, nelle cui stanze, si favoleggia, pare abbondino ori e preziosi suppellettili.
Rientriamo per riposarci e poi, la sera, ci concentriamo sul cuore commerciale di Deira, pieno di raffinatissimi negozi ed eleganti fuoriserie…
Dubai
30 agosto
Giornata dedicata all’arrosto di carne umana. Torniamo sulla spiaggia bianca del Burj al-Arab per un bagno che praticamente si protrae necessariamente per ore essendo impossibile resistere più di 5 minuti al sole. L’unica ombra ce la offre un camionista siriano insieme a banane e dolcetti. Altri bagni poi riprendiamo le moto e torniamo a Deira.
Lasciamo la pur valorosa Daniela in camera alle prese con una leggera “indisposizione” e ci dirigiamo sulla Sheikh Zayed Road, l’arteria principale di Dubai, sulla quale si sta svolgendo una delle gare architettoniche più avveniristiche e audaci del pianeta ma ancora dagli esiti incerti. Pare infatti che la crisi economica e la mancanza di capitali e investitori esteri stia rallentando se non bloccando completamente i vari progetti e cantieri.
Passiamo sotto alla torre Burj Dubai che con i suoi oltre 815 metri è attualmente l’edificio più alto al mondo e nonostante i divieti e le guardie che ci girano intorno riusciamo a rubare alcune foto.
Arriva l’sms di Daniela che ha risolto brillantemente la sua “indisposizione” perciò torniamo in albergo per andare a riprenderla e proseguire il giro all’interno del souk dell’oro e il vecchio porto al Creek.