Quinta Puntata: Via dal Montenegro – Attentato a Pristina in Kosovo.
Andrea è seduto a terra, la testa gli ciondola a destra e sinistra, è ancora provato. Non so a questo punto se sia stata la letale vodka artigianale che ci hanno offerto poco fa, oppure le innumerevoli prese per il culo da parte di Fabio. Sotto pressante fuoco nemico e bombardato incessantemente per abbondanti 2 ore a suon di:
We, Ciaparàtt!
We, terun! Và a dà via i ciap!
We testina, ma voi di Roma non la reggete la vodka?
si rialza storto, stanco e con necessità di un letto dove riposarsi e riprendersi e, cosa molto più importante, poter studiare al meglio la sua vendetta verso Fabio il Saraceno che lo ha sfiancato a suon di battute milanesi con duri colpi all’animo romano.
Ripartiamo ad andatura lenta per testare l’equilibrio motociclistico dell’Afgano visto che prima sbandava vistosamente. E’ già tardi e dobbiamo cercare un posto dove dormire. Arrivati a pochi kilometri dal confine con il Kosovo ci fermiamo a Rozaje. Io e Fabio avremmo pure proseguito facendo altra strada, ma Andrea ci fa fermare: Dormiamo qui!
Vabbè ok, dai ci si ferma qui.
Nebbia grigia, pesante e intrappolata tra le fronde degli alberi. Temperatura in picchiata verso il freddo. Case faticenti e scrostate. Rozaje è un paesino di una tristezza che nemmeno nelle canzoni di Biagio Antonacci si trova. Ed è proprio qui che l’Afgano consumerà la sua vendetta.
Prendiamo due stanze presso il Motel Grand, una per me e l’Afgano, l’altra per il Saraceno. Il Motel Grand è uno squallido rifugio per camionisti stanchi. Di fronte un casinò per ricchi russi cafoni e ubriachi, di lato una segheria. Al primo piano c’è un polveroso ristorante con terrazza sulla strada che puzza di tubo di scappamento a diesel. Mentre prendiamo una birra defaticante, Andrea si precipita alla reception e torna con sorrido beffardo. A Fabio lo aspetta una delle più terribili notti della sua vita.
Una doccia per riscaldarci. Laviamo un’altra volta i vestiti sporchi (2 mutante e una t-shirt) che già sappiamo non si asciugheranno e come sempre li rimetteremo umidi nelle borse da moto.
Usciamo a fare due passi e passiamo vicino la segheria. Andiamo verso il casinò che è un edificio in costruzione con un solo piano completato pieno di macchienette di video poker e altri giochetti del genere. Dentro ad un volume delirante strombetta una musica Zumba Kosovara e gente vestita per bene che sembrano bomboniere kitch ballano sudando nei loro vestiti di ciniglia acrilica. Delusi ce ne torniamo verso il ristorante del nostro motel.
Mentre attraversiamo il parcheggio di terra e breccia pieno di Suv, BMW e Merceces intamarrizzati e tirati a lucido uno scoppio secco “baaaaang” ci coglie impreparati. Un colpo, poi un secondo. D’istino ci buttiamo tutti e tre a terra. E’ buio pesto e abbiamo paura ad alzarci. Iniziamo a strisciare ma tra i sassi della breccia facciamo troppo rumore ed arriva una seconda scarica, stavolta più lunga e la frequenza dei colpi è più ravvicinata, riusciamo a vedere le scintille che illuminano il buio del parcheggio e lì la paura prende il sopravento. Scappiamo a gambe elevate sgommando a grosse falcate, sgomitanto, sbattendo e derapando tra le auto di lusso. Alziamo un polverone e “ma li mortacci vostra e delle vostre miccette trik e trak”
“Brutti piccoli bastari se vi prendo vi smonto a fascicoli”.
Dei ragazzini balordi stavano buttando raudi e miccette proprio lì vicino, e noi che pensavamo fosse una sparatoria.
La vendetta dell’Afgano
Ritorniamo ripassando di nuovo davanti la segheria che è buio nero e i taglialegna sono ancora lì. Si vedono controluce gli sbuffi di polvere di segatura e le loro silhouette ritagliate dai fari delle loro auto posizionate per illuminare gli ultimi tronchi che restano. Penso che gli manchi poco e poi via torneranno a casa dopo una giornata di lavoro. Ma non è così. La segheria è h24. E ce lo confermerà Fabio il mattino seguente.
Arrivati al nostro ristorante dobbiamo decidere se prendere un tavolo nella sala interna che puzza di fumo di sigarette, oppure un tavolo esterno sul terrazzo che puzza di gas di scarico. Stasera restiamo dentro.
Il menu ci sorprende inaspettatamente con delle delizie provenienti direttamente della cucina di Frankestin. Qui infatti tra le altre cose hanno anche 1kg di Heart e 1kg di Brain.
Prendiamo una zuppa di gengive di agnello e vorremmo ordinare anche un brodo di pollo, ma visto che costa meno di 1 euro, meno addirittura dell’insalata, lasciamo perdere. Si sta facendo tardi e il nostro motel inizia a riempirsi di donnine succinte che salgono su con il camionista di turno. Ci fermiamo ancora un po’ nonostante l’intero ristorante sia avvolto da una coltre di fumo di sigarette che rende l’aria irrespirabile. Ormai puzziamo di fumo anche noi e vana è stata la doccia di poco fa.
Passiamo alla reception per prendere le chiavi delle nostre stanze e l’Afgano inizia a ridere. Poco prima infatti ha fatto cambiare la stanza di Fabio, ora l’affaccio è diretto sulla segheria … che a quest’ora di notte è ancora aperta. Fabio il Saraceno non chiuderà occhio per tutta la notte con il suono della sega piantato nel cervello. E il trauma lo leggeremo scritto con crepe rosso sangue sulle pupille spente nel risveglio di domani.
Kosovo
Mi sveglio che ancora non è giorno, saranno appena le 5:30. Fuori una nebbia densa avvolge tutto. Il grosso edificio ancora in costruzione fatto di specchi qui di fronte ha un aspetto spettrale da Twin Peaks. Sveglio anche Andrea, Fabio invece ancora sotto scrisi epilettiche al solo suono della parola “segheria” è già, anzi, è ancora sveglio da ieri.
Ci sediamo allo stesso tavolo dove abbiamo cenato ieri sera. Chiediamo per la colazione cercando di farci spiegare quello che c’è ma il trucido cameriere con le dita gialle e una sigaretta accesa in mano ci dice solo “EGGS”.
“E poi?” – “Eggs!”
“nient’altro?” – “Eggs!”
Sembra che ci prenda in giro, e noi rispondiamo a tono chiedendogli altre cose ricevendo sempra la stessa risposta: “EGGS!”
“What’s your name” – “Eggs!”
“How old are you?” – “Eggs!”
Caffè caldo nero bollente triplo per Fabio che si legherà al dito la traumatica esperienza della notte appena passata. Ci sbrighiamo a finire le “Eggs” per partire subito. Dobbiamo raggiungere la frontiera Montenegro – Kosovo il prima possibile perchè sicuramente lì ci perderemo molte ore. Siamo in entrati in Monenegro senza assicurazione e senza visto d’ingresso.
La strada entra in una foresta verde smeraldo ma non possiamo goderci lo spettacolo perchè siamo sotto pioggia battente. Subito dopo il passo una luce dalla vallata ci fa sperare per il meglio.
Qui la frontiera Montenegro – Kosovo non è altro che uno sgabuzzino in cui sono rintanato gli agenti annoiati di frontiera. Festanti per il nostro arrivo che anima il loro piattume quotidiano ci fermano increduli perchè ormai è più di una settimna che giriamo a zonzo in Montenegro senza il visto d’ingresso.
Al loro “Big problem, big problem”
Rispondiamo con quello che ci riesce meglio: facciamo i simpatici giullari italiani Pizza-Spaghetti-Mandolino-Funiculì-Funiculà e “Celentano mio cugino, Eros Ramazzotti compagno di scuola” e ci mandano via dai colleghi kosovari.
L’ingresso in Kosovo lo facciamo in pompa magna. Ai soldati di frontiera si blocca la macchinetta per mettere il timbro d’ingresso sui nostri passaporti. Di corsa apro la borsa e tiro fuori un quanto mai provvidenziale WD40. Spruzzo, ingrasso e due botte e via il timbro riprende a funzionare. E già mi immagino i titoli sui quotidiani kossovari di domani: “Sporcoendurista solves a big problem at the border with Montenegro”.
C’eravamo quasi. Se l’erano quasi preso. L’hanno trattenuto per un’oretta abbondante per non so che cavillo burocratico. Ma poi ce l’hanno restituito. Purtoppo l’Afgano è ripartito con noi.
Appena entrati cerchiamo di raggiungere un piccolo villaggio lungo la strada per Pristina dove dalla mappa abbiamo notato il simboletto che ci piace tanto: Terme, bagni termali, benessere, relax, SPA. Schivando galline, pecore e cani randagi che girano allo strado brado raggiungiamo il palazzone delle Terme e ci fermiamo proprio davanti il cancello d’ingresso semiaperto. Le terme sono attive, ma versano in uno stato di triste abbandono. La facciata che ci si para davanti sembra quella di un palazzo appena crivellato di colpi.
Attentato a Pristina
Il panorama deprimente in cui viaggiamo è amplificato dal tempo grigio e piovigginoso. Il Kosovo si presanta con una bruttezza fatta di edifici mezzi finiti, case in costruzione, bar e locali fatiscenti in foratini e cemento grezzo.
La capitale più giovane d’Europa è proprio quella kosovara. A Pristina seguendo le indicazioni della Lonely Plante arriviamo alla Guest House Professor, chimata così perchè il gestore è un professore, non so in quale materia ma di sicuro non in ospitalità.
Lui è un vecchio rompicojoni come solo i vecchi rompicojoni sanno esserlo. Vuole rifilarci una vecchia e fetida stanza in un edificio che lui dice di essere nuovo ed appena ristrutturato, ma anche guardandolo solo superficialmente ci si accorge che come minimo avrà il doppio degli anni del vecchio. Lo salutiamo che ancora sbraita e ce ne andiamo all’ Hostel Istanbul che è ancora più spartano ma almeno l’aria che si respira è più semplice e simpatica. Affaccia su un animato mercatino di bancarelle di ombrelloni ed eternit. E poi soprattutto non c’è il vecchio.
Nemmeno ci cambiamo che tanto abbiamo i vestiti nelle borse ancora umidi che ormai puzzano di cadavere squoiato e andiamo in centro a predere una birra. Di locali ce ne sono molti, e molto carini tutti con uno stile nord europeo. Il pomeriggio passa così seduti ad un tavolino che si riempie di bicchieri vuoti di birra. Ci ritroviamo che è già sera e bisogna decidere dove andare a mangiare qualcosa. Visto i prezzi abbordabilissimi ci tuffiamo in un ristorante che passa come sottofondo musicale Whitney Houston. Ceniamo e tra le note smielate cerchiamo di suicidarci con Gin Tonic, ma l’unico effetto che ne ricaviamo è un eccesso di malinconia collettiva e arrivati ormai al dolce siamo tutti e tre abbracciati che dondoliamo sulle note di “I Will Always Love You”.
Siamo ubriachi che strisciamo i piedi per terra. Rientriamo verso un letto e prima della traversa del nostro hostel intermittenti lucine azzurre e rosse, gente che corre disordinatamente in ognidove attraggono la nostra attenzione. Ci si para davanti un polizioto in tenuta antisommossa che fa paura. Cerchiamo di parlargli mimando un po’ di serietà ma la fiatella di Gin non lascia ombra di dubbio. Lui ci allontana con difficoltà visto che gli sgusciamo da tutte le parti. Sta per arrabbiarsi quando dall’edificio della Radiotelevisione pubblica del Kosovo (Rtk), dove dei nazionalisti kosovari hanno appena lanciato una bomba a mano, viene fuori una giornalista che in un perfetto inglese ci spiega quello che è successo. Ma ha delle gambe niente male e un profumo di donna che è miele e vaniglia, e noi che le chiediamo che profumo usa, che è davvero “pretty” e “che fai più tardi”.
“Ragazzi … dovete andare via! C’è appena stato un attentato”
“Ehi attenta a te baby!”
Sembra una tonnara siciliana la scena del poliziotto che cerca di arginarci e noi che come anguille ci divincoliamo per provarci con la giornalista. Prima di addormentarci in stanza chiacchieriamo sbiascicando complimenti sulla giornalista e sul suo profumo.
Domani andiamo via, andiamo in Albania. Sto Kosovo non è che c’è piaciuto poi tanto.
mettete sempre buon umore ,grandissimi !!
Ho vissuto in Albania per quasi 2 anni e durante quel periodo ho girato piu’ o meno tutti i paesi limitrofi. Mi fate tornare alla mente tanti ricordi, anche molto belli. Ad avere piu’ tempo, da quelle parti, ci sono dei resort nascosti tra le montagne, degni di un film di James Bond.
Ciao Manuel … allora non perderti la prossima puntata, perchè ci siamo persi e siamo finiti proprio in un isolatissimissimo albergo degno di uno dei primi film di James Bond.
afghano si scrive con l’H ( la vendetta afghana)
Nipote mi meraviglio di te
Ma vi invidio lo stesso per i viaggi strafighi che fate