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Maku – Kandovan – Miandoab

15 agosto
Bella giornata calda, facciamo il pieno a 4.000 rial al litro (zerovirgolaventottocentesimi) e partiamo in direzione Tabriz per poi sconvolgere totalmente il nostro piano d’invasione iniziale e sviare le indagini della polizia segreta iraniana deviando verso Kandovan, accreditata come la “cappadocia iraniana”.

Triplo e Moro

Kandovan, la cappadocia iraniana

Abbiamo fiuto per scegliere i posti da visitare noi.
Infatti è il 15 agosto che da noi sarebbe ferragosto. Io adesso non lo so se gli iraniani festeggiano il ferragosto ma sicuramente è VENERDI’ e per gli iraniani OGNI maledettissimo VENERDI’ è come il nostro ferragosto e il caldo della mattina si è trasformato in un forno per sciogliere l’acciaio.

Arranchiamo carichi verso Kandovan su una strada trafficata come Porta Portese la domenica mattina. La strada è stretta e i 3.000.000 di abitanti di Tabriz più i parenti venuti da fuori sono lì, in macchina, in pullman, a piedi, in motoretta, come un serpentone in salita su quella stradina lastricata di pietroni lisci come vetro unto.

Kandovan, la cappadocia iraniana

Schiattare di caldo in moto.
Già mi immagino i titoli dei giornali in Italia:
“Tre fessi italiani morti in Iran”
“..che li hanno lapidati?”
“No, maddeché, poracci, so’ morti de caldo!”
.

Per fortuna in fila il tempo passa tra una chiacchiera e l’altra con gli iraniani che non danno assolutamente segno d’insofferenza, anzi sembrano perfettamente a loro agio nel braciere di Kandovan.

Arriviamo in cima e non c’è posto nemmeno per parcheggiare uno spillo.
Un negoziante mosso da islamica compassione ci fa parcheggiare praticamente quasi dentro al negozio.

Visitare le stradine in quelle condizioni è proibitivo, quindi ci mettiamo sotto gli alberi, Daniela compra il pane e ci prepariamo al nostro ennesimo appetitoso pranzo a base di Tinsemal e Tacchin-tonné.
La famigliola seduta vicino a noi è attrezzatissima e ci guarda con un misto di schifo e pietà; poi il padre, stanco di assistere a quella scena penosa, si alza, va alla macchina, tira fuori un tappeto e srotolandocelo davanti, ce lo offre.

Ovviamente fraternizziamo e rimediamo anche cibo e tè, ricambiando il tutto con le uniche cose che non ci mancano: chiacchiere e spillette per i bambini.

Kandovan, la cappadocia iraniana

Riscendiamo da Kandovan che si potrebbe tranquillamente camminare sui tetti delle Paikan e delle Saba in fila come tante formiche colorate. Ci fanno tutti lo stesso segno con la mano vicino all’orecchio (tipo Toni quando segna, ma con la faccia interrogativa) e finalmente capiamo cosa significa:
“Da dove venite?”
ITALIA!
“Oh!! Italie!!!, Welcome, welcome!!!”

Moltiplicate le mille macchine in fila per il numero di finestrini e aggiungete quelli che se lo facevano ripetere perché non avevano capito.

Miandoab

Senza più voce e disidratati, arriviamo a Miandoab.
Non facciamo nemmeno in tempo a fermarci che ci circondano decine e decine di persone. Luigi e Daniela vanno in cerca di un albergo ed io, stufo di essere al centro di questo nugolo di persone che mi guardano in silenzio, chiedo permesso e mi unisco a loro… cioè, pure io mi metto a guardare incuriosito le moto.

‘Sta cosa li destabilizza un po’ e alcuni si mettono a ridere e cominciano a scattare le foto con i telefonini.

Tornano Daniela e Luigi perché in hotel ci hanno chiesto troppo e quando c’è da discutere e fare la figura del “peracottaro” chiamano me. Farfuglio qualche parola in italo-inglese e quello alla reception, credendomi forse bosniaco, compone veloce un numero al telefono e mi passa la cornetta
Dall’altra parte una signorina che in perfetto inglese si presenta:
“Ufficio del turismo iraniano, come posso aiutarla?”
Boh!!! Che ne so, ma intanto mi fa fare lo sconto (20 euro in tre compreso parcheggio e prima colazione).
Cacchio, siamo partiti da Roma per venire a visitare Miandoab e questa cosa pare li colpisca parecchio.
Per parcheggiare le moto in garage un addetto all’hotel si offre di accompagnarci e, messosi comodo dietro di me, ci fa fare il giro della città per poi tornare dietro all’albergo. 10 km solo per farsi un giretto in moto.
Puliti e pettinati riscendiamo e quelli fanno fatica a capire che siamo gli stessi mucchi di polvere saliti in camera mezz’ora prima.
In un locale accanto si sente musica e gioiosi strilli femminili. Moroboschi chiede cosa ci sia dietro quella porta chiusa e uno gli risponde che dentro è in corso un festa per donne.
Allora fremente di desiderio e bramosia e con la pressione dell’olio in zona rossa chiede se può dare un’occhiata ma quello lo squadra con gli occhi sbarrati come se gli avesse detto: “Mortaccitua a te e a tu’ nonno in carriola”.
Si capisce che non è il caso di insistere e ci buttiamo per le strade di Miandoab prestando la massima attenzione: una volta passati da un marciapiede all’altro gli iraniani sono amichevoli e gentilissimi ma mentre attraversi sono spietati cacciatori di teste.

Miandoab

Tutti ci salutano e si fermano per scambiare quattro (a volte tre, a volte due o una, a volte nemmeno quella) chiacchiere.
Qui Daniela diventa determinante (meno male che ce la siamo portata) perché è l’unica che può intavolare un discorso più ampio oltre il “benzin full” “noi mangiare” “noi dormire”.

Miandoab

Miandoab

Tornando in hotel entriamo in una delle numerosissime pasticcerie e ci facciamo fare un vassoio di dolci spettacolari.
Quando chiediamo il conto, il negoziante si mette la mano sul cuore e ce lo offre. Insistiamo le canoniche tre volte ma non c’è verso di pagare.
Ci comincia a girare un po’ la testa e non immaginiamo ancora che tipo di trappola ci stiano tendendo questi infidi iraniani.

Miandoab – Takht-e Soleiman – Hamadan

16 agosto
Tutto giallo, tutto marrone, non siamo sicurissimi della strada e fermiamo un camioncino.

Uno degli occupanti deve essere un cartografo o un satellite russo perché ci disegna su un foglio di carta mezzo Iran e la strada precisa al metro. Proseguiamo ormai sicuri finché improvvisamente in mezzo al deserto una chiazza blu intenso.E’ Takht-e Soleiman (trono di Salomone).

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Il posto è veramente suggestivo, parcheggiamo le moto sotto le mura di questa sorgente fortificata e luogo sacro agli zoroastriani e in un attimo si forma il capannello di gente intorno a noi. Passiamo il tempo intorno alla sorgente scattando foto e chiacchierando con una famiglia zoroastriana di Teheran.

Si riparte in direzione Hamadan e qui scatta la trappola iraniana.

Al primo benzinaio ci rifiutano e ci mandano al successivo distributore (era tutto calcolato). Facciamo benzina ma ci passiamo mezz’ora tra chiacchiere e foto ricordo.

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Takht-e Soleiman

Davanti al benzinaio c’è un kebbabaro che ci ispira erroneamente fiducia e ci accomodiamo.
Arriva un baffone iraniano e rapisce Daniela, io c’ho troppa fame per preoccuparmi e attendo, sbavando, il panino ripieno annaffiato dall’ottima Zam-Zam locale.
Dopo un po’ sparisce pure Moroboschi.

Meglio: arrivano tre panini e sono solo… mi frego le mani e attacco il primo… ma ecco riapparire i due rapiti con in mano uno scatolone pieno di pasticcini e dolci…saranno due kg abbondanti e nonostante le insistenze non sono riusciti a pagarli.

Commentiamo sottovoce questo strano atteggiamento degli iraniani che sicuramente avranno in mente qualche tranello… finiamo di mangiare e chiediamo il conto:
“Esab?”
Na esab, …esab Nadir” ci risponde il “ristoratore”
… e mo’ chi cavolo è Nadir? Nadir è il pasticcere di prima, mi dicono stupefatti Daniela e Luigi. Qui sento puzza di bruciato…

Moroboschi è livido di rabbia, stringe i pugni e sibila tra i denti: “Bastardi!!!! Ci vogliono mettere in difficoltà… lo fanno apposta…. ci vogliono far sentire delle merde”

Decidiamo che è arrivato finalmente il momento di fargli vedere di che pasta sono fatti gli italiani e sfoderiamo l’arma segreta nascosta nel bauletto: la maglietta azzurra con scritto sopra “ITALIA”.
La baciamo e con quella in mano irrompiamo urlando “VIVA L’ITALIA!” nel negozio di Nadir.

Il combattimento che ne segue è breve ma intenso: strette di mano, baci, abbracci e foto con la famiglia di questa vile canaglia.

la pasticceria di Nadir

Riprendiamo di corsa le moto e scappiamo dal negozio… dopo pochi secondi dagli specchietti vediamo una macchina verde al nostro inseguimento… con il cuore in gola acceleriamo ma non riusciamo a seminarla…
e in un attimo ci piomba addosso, ci sorpassa e ci inchioda davanti costringendoci a fermarci sul bordo della strada.
ne esce Nadir con in mano due buste di caramelle con la miccia già accesa…porca zozza, non c’è possibilità di contrattaccare in nessun modo…c’abbiamo tutti e tre gli occhi umidi di commozione mista a umiliazione.

Moroboschi auspica un intervento militare di Bush per porre fine a questi comportamenti aggressivi messi in opera dagli iraniani nel più completo disprezzo del diritto internazionale.

Comunque il risultato finale è: Iran batte Italia 3 a 1.

Hamadan

Entriamo ad Hamadan, c’è un casino bestiale; per cercare un albergo ci fermiamo vicino Imam Khomeini square (ogni città iraniana ne ha una).
Lasciamo Moroboschi a guardia delle moto e con Daniela entriamo in un albergo… tutto pieno, pare ci sia la festa del settimo Imam…
usciamo dall’albergo e ci prende un colpo!

Moroboschi è circondato da circa duecento persone.
Lui è in piedi sulla moto che si guarda intorno, sembra l’assedio di Fort Alamo. Ci facciamo largo tra la calca per andare a dargli coraggiosamente manforte mentre le persone che ci circondano diventano quattrocento… la strada e il traffico sono completamente bloccati, arriva la polizia che cerca di ristabilire la circolazione allontanando la folla… alcuni fanno finta di telefonare invece ci scattano di nascosto le fotografie, altri più temerari ci chiedono da dove veniamo, quanto costa la moto e che velocità massima raggiunge…
Moroboschi, sborone, fa segno “duecento” con le mani per impressionarli… finalmente la polizia ci libera dall’accerchiamento e ripartiamo, ma ci ferma dopo venti metri proprio dentro la piazza mentre la gente di prima ricomincia a radunarsi intorno.

Compaiono le prime telecamere.

Un milite con la faccia per niente amichevole ci guarda con gli occhi a fessura. Penso che mo’ ce lo fanno a strisce per disturbo della quiete pubblica, intralcio alla circolazione, manifestazione non autorizzata e adunata sediziosa… saranno almeno 25 anni di galera… si avvicina minaccioso e strilla:“UERE ARE IU CAMING FROM?” gli ristrillo con tutto il fiato che c’ho in gola “ITALIEEEEE!!!!” e mentre il Moro ci aggiunge un sonoro: “BUFFOOOON! CANNAVAROOOOO!!!” il poliziotto ci fa segno di andare.

Non è possibile, non è possibile, e rido dentro al casco.

Hamadan

Hamadan

Troviamo un albergo, ci laviamo, cambiamo e ci ributtiamo per strada. Sermoni improvvisati, una marea di gente, altoparlanti che sparano preghiere e petardi verso il cielo… ci rimorchiano due ragazzi che chiameremo con due nomi di fantasia Mogi & Pagi, per preservare la loro privacy, ci fanno fare il giro della città a piedi abbindolandoci con il miraggio di portarci a mangiare in un posto tradizionale… invece vogliono solo chiacchierare con noi però poi, sotto la reale minaccia di ucciderli se non ci portano in un posto dove si mangia, si piegano, e dopo un’ora e mezza passata a camminare, finalmente ci accontentano.

Si parla di un po’ di tutto compreso il fatto che si sono francamente rotti un po’ le palle del regime degli Ayatollah.
Ci riaccompagnano in albergo e ci salutiamo.

Hamadan – Esfahan

17 agosto
Che cominci la festa!!!!!
Monti Zagros: Le montagne russe le hanno inventate qui.
Arranchi fino in cima e poi precipiti in picchiata dall’altra parte.
Non una volta sola, a ripetizione.
Si passa dagli 800 metri ai 2.000 metri di altezza poi si ricasca a 900 poi si risale a 2.100.

L’aria è secca e rovente …o vomiti o ti esce il sangue dal naso ma almeno non si paga il biglietto.
A me comincia ad uscire il sangue dal naso, faccio un casino dentro al casco, sbrodolo di rosso giacca, guanti e pantaloni; ci fermiamo.
Daniela mi passa spazientita i fazzolettini, Moroboschi, con l’occhio da faina, si guarda intorno alla ricerca di un punto dove seppellirmi velocemente e senza scomodi testimoni.

il Moro

Ho capito che se non mi spiccio questi due invasati mi fanno fuori senza tanti complimenti. Mi ficco terrorizzato tre etti di fazzolettini dentro il naso e ripartiamo.
Respiro a fatica ma meglio così che non respirare per niente.

Siamo diretti verso una delle più belle città dell’Iran: ha la seconda più grande piazza al mondo, ha un ponte che solo a guardarlo in foto ti vengono i brividi. Esfahan, la metà del mondo, Esfahan, l’ombelico del mondo… e noi, in questo ombelico ci stiamo entrando, in moto, carichi come muli, dopo migliaia di chilometri.

Planiamo quindi su Esfahan da ovest.
Con il sole alle spalle come nella migliore tradizione eroica. Dentro di me canticchio la cavalcata delle Walkirie.

la strada verso Esfahan

C’è un lungo viale con le solite aiuole piene di gente che cerca refrigerio sotto gli alberi e i cespugli. Passiamo come in parata a volo radente, siamo euforici e le fotografie e le riprese con la telecamera che ci fanno incredibilmente da un corteo matrimoniale amplificano questa sensazione di entusiasmo e ottimismo.
Sbrighiamo abbastanza velocemente la pratica albergo e un po’ meno velocemente quella garage, disegnando la luna e il sole per comunicare al garagista quanti giorni e quante notti abbiamo intenzione di rimanere.
Incontriamo un gruppetto di italiani arrivati lì in aereo e sono realmente colpiti dal fatto che noi, fino lì, ci siamo arrivati in moto e che abbiamo anche intenzione di proseguire.

Fa caldo e dopo aver preparato e bevuto l’ennesimo “bombone” a base di sali minerali, aspettiamo l’imbrunire per andarci a fare il giro nella “piazzetta” Naqsh-e jahàn “immagine del mondo”, la seconda piazza più grande dopo piazza Tienanmen.

A mano a mano che ci avviciniamo, attraversando giardini curatissimi, aumenta la fiumana di folla diretta nello stesso posto dove stiamo andando noi… sono strade e vicoli trafficatissimi di gente e mezzi di ogni genere che confluiscono verso un portone che appena varcato…

io credo che qui finiscano le parole. Non sono in grado di descrivere quello che ho visto, le emozioni che ci hanno attraversato, i suoni percepiti e lo stupore provato. Sicuramente questo posto è l’essenza del nostro viaggio itinerante in moto in Iran. E’ la visione che ti ripaga di tutte le fatiche, del sudore, della stanchezza, che ti fa battere il cuore specchiandoti nell’anima degli altri che ti circondano e che ti fa pensare semplicemente:
“Sono qui e sono felice di esserci”
.

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

Ci sediamo attoniti ammirando migliaia di persone che come noi sono lì, sedute sull’erba o a passeggio, che parlano, mangiano gelati o sorseggiano l’immancabile tè tutto in un’atmosfera di armonia e pace alla quale noi non siamo forse più abituati da tempo.

Ci facciamo notte in piazza, parlando, scambiando sorrisi, saluti e strette di mano con decine di persone, tra cui un bambino-uomo afgano che a tredici anni è già scappato da una guerra devastante, studia con profitto, conosce tre lingue e te lo dice con una pacatezza e una serietà che vorresti tornare a casa solo per distruggere le play station e le tv che riducono la maggior parte dei suoi coetanei italiani in larve istupidite.
Proseguiamo nella fantastica notte di Esfahan in direzione del Ponte dei 33 archi ed è il secondo colpo al cuore. Passeggiamo prima lungo gli argini e poi sotto le arcate di questo vero incanto architettonico che con tutte le luci accese riflesse sull’acqua del fiume Zayandeh, mentre improvvisati ma bravissimi cantanti si esibiscono poeticamente sotto le sue volte, regala scorci e melodie da mille e una notte.

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

la strada verso Esfahan

La gente ci saluta semplicemente, tutti ci sorridono e molti ci fermano per parlare con noi… uno addirittura prende Moroboschi per giapponese!
Passiamo il resto della serata in piacevole compagnia di una bellissima famiglia di Mashad che ci tempesta di domande sui più disparati argomenti.

E’ notte fonda quando alziamo bandiera bianca, ci congediamo amabilmente e torniamo in albergo.

Esfahan

18 agosto
Giornata dedicata completamente alla città e il primo giorno di “riposo” dopo sette giorni consecutivi di moto.

Daniela con la solita divisa d’ordinanza azzurra e fioccone bianco in testa, il Moro ed io, rispettivamente cugino e marito, ai lati, ciabattiamo per chilometri nella città che gli iraniani chiamano “la metà del mondo”, ci intrufoliamo nell’antico bazar facendoci trasportare in estasi dalla corrente di gente che lo anima, entriamo nelle straordinarie e meravigliose moschee e immancabilmente ci ritroviamo nella grande piazza come particelle d’acqua attratte dal vortice di un mulinello.

a spasso per le strade di Esfahan

a spasso per le strade di Esfahan

Mentre torniamo in albergo pensando che tra 600 km in moto e 600 km a piedi in “ciavatte” forse è meglio andare in moto, ci imbattiamo in cinque brutti ceffi che ci guardano storto.
Sono i componenti del gruppetto di altri italiani partiti pure loro in moto per l’Iran ai primi di agosto.

Ci annusiamo guardinghi poi scodinzoliamo tutti insieme raccontandoci esperienze e peripezie reciproche.
Per arrivare alla stanza dell’albergo c’è una scala ripidissima, come se non bastassero già i 1.590 metri s.l.m. della città: l’affronto come fosse l’ultimo strappo per l’assalto finale alla parete nord dell’Eiger senza l’ausilio dell’ossigeno e poi, mentre mi si annebbia la vista, collasso su uno dei tre letti presenti… o almeno così mi pare di ricordare…

a spasso per le strade di Esfahan

a spasso per le strade di Esfahan

a spasso per le strade di Esfahan

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