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Terza Puntata: Foča e il fiume Drina. Gacko e il lago Bilecko. Pluzine e il lago Pivsko.

A Sarajevo quasi tutti i locali, pub, club e disco sono per la nuova e vivacissima generazione di 20enni dell’Est. Io, l’Afgano e il Saraceno esibendoci in coreografici brindisi e in balli ancheggianti riusciamo a tenere botta e a reggere le ore piccole tra lo stupore dei giovani locali.

Dell’ultima notte a Sarajevo non ne abbiamo sprecato nemmeno un goccio.
Vorresti dire: “Nemmeno un secondo?”
“No! Nemmeno un goccio”
Perché usciti dal ristorante di Karuso con in nostri amici turchi già belli che benzinati ci siamo fatti un bicchierino in ogni locale che incontravamo prima di rientrare a casa. E a Sarajevo di locali ce ne sono tanti, fidatevi.

Lasciamo Sarajevo con la notte appena passata che ci pesa sulle palpebre ancora a mezz’asta. Usciamo dalla città in silenzio passando tra le strade di periferia i cui muri ancora sanguinano di odio e dolori, le cicatrici della guerra sono le scritte sui muri: “EUtanasia, UNothing, Don’t forget Srebrenica”.

Mai seguire l’Afgano

Prendiamo una stradina secondaria che si dirama dalla M81 che collega Sarajevo a Foča guardando sempre con timore reverenziale il cielo che trabocca di pioggia. Ma oggi sembra dirci bene e uno squarcio tra le nuvole ci regala belle curve e qualche ora di guida in una gola sotto i raggi di un sole timido.
A Foča voglio arrivarci anche perché da lì passa il fiume Drina, un pezzo di storia fluviale visto che separava l’ Impero Romano d’Oriente dall’ Impero Romano d’Occidente … mica pizzia e fichi. Seguendo sempre il corso della Drina arriveremo dritti al confine con il Montenegro e da lì una comoda frontiera per entrare sul lago Piva.
A Foča dobbiamo passarci per forza perché devo assolutamente comperare un sacco a pelo. Ieri la mia ricerca di sacco a “pelo” nei centri commerciali di Sarajevo non è andato a buon fine e non posso continuare a dormire in tenda svegliandomi con le labbra viola dal freddo.

Il cartello “benvenuti a Foča” noi non lo vedremo mai. Andrea è l’unico che ha una mappa, sta davanti e fa strada verso il “chissà cosa gli dice quel cervello bacato!” Eppure era facilissimo: avremmo solo dovuto costeggiare sul lato destro il corso del fiume Drina che arriva dritto dritto alla frontiera.
Quando riusciamo a recuperare la strada principale ormai Foča, il mio sacco a pelo e il confine montenegrino sono lontanissimi.
E mentre cerco di spiegare all’Afgano indicandogli sulla mappa la strada giusta, Fabio il Saraceno mi domanda se in tutti i viaggi lui si comporti così, se è sempre così pressapocamente disorganizzato.
Sì, sì e sì.

L’imboscata finale

Siamo ad un incrocio e con la mappa sul serbatoio cerchiamo di trovare una comoda strada che ci riporti verso Nord. Una goccia, un’altra e un’altra ancora. Tutti e tre ci guardiamo con gli occhi sgranati e con la paura di guardare verso l’alto, verso il cielo.

La luce del giorno si incupisce in un nero buio che profuma di un freddo temporale imminente. Nemmeno il tempo di ripiegare la mappa che inizia a piovere fragorosamente. Siamo totalmente indifesi, non c’è un solo punto dove ripararci e in preda al panico saliamo in sella e scappiamo. La pioggia si fa più intensa e rumorosa. Gli antipioggia non tengono e rieccoci di nuovo con tutti i vestiti bagnati.

“Mayday Mayday!”.
Le gocce entrano anche nel casco rigandomi tutta la visiera già appannata. Guido chiudendo gli occhi in maniera intermittente, prima il destro e poi il sinistro. Apro e chiudo, apro e chiudo la visiera e bevo acqua e tossisco acqua. Riesco ad intravedere una delle astronavi di cemento degli Spomenick, i mastodontici monumenti commemorativi per i caduti della Seconda Guerra Mondiale fatti costruire da Tito quando ancora tutta la Jugoslavia era unita sotto un’unica bandiera. Non possiamo fermarci.

Pareti altissime e verticali senza possibilità di vegetazione, nessun riparo per kilometri e in quella gola il vento entra ed accellera paurosamente il suo moto. E’ qui che il temporale ci tende la sua imboscata. Siamo fottuti.

Non so quanto tempo sia passato e quanta strada abbiamo fatto in quella maledetta gola. Ma quando entriamo nel primo bar a bordo strada facciamo pena anche alle cimici appese alle vecchie tende. Grondiamo acqua, siamo bagnati e tremiamo visibilmente.

Prendiamo qualcosa di caldo da mangiare e come nostra consuetudine in questo viaggio ci spogliamo e spargiamo ovunque i nostri vestiti bagnati comprendo l’intero pavimento, occupando tutte le sedie e appendendo a qualsiasi gancio che troviamo sulle pareti del bar. Ci guardano che facciamo pena.

Ripartiamo e moriamo letteralmente di freddo. Moriamo sì, perché penso che la morte faccia quell’effetto. Costeggiamo il confine Serbia-Montenegro verso Sud. Piove ancora e fa freddo e siamo bagnati tutti, inutile fermarsi, facciamo strada verso non lo so. Attraversiamo paesaggi alpini con montagne, pini, abeti e arbusti sempreverdi. Piove sempre ininterrottamente e l’acqua ghiacciata entra nel collo, scende sulla schiena e scivola giù a gelarci le chiappe.

Poco prima del passo smette di piovere, le nuvole si diradano e riapro il caso e spalanco la bocca in cerca di ossigeno ed è come riemergere dopo un’apnea. La foresta di foglie e muschio e rami trattiene le ultime nuvole e nonostante sia agosto, estate piena, l’aria colora di letargo il paesaggio.

Superato il passo ecco improvviso un altipiano spoglio, senza alberi, pochi arbusti bassi, secchi e spettinati dal vento. Poi una piccola discesa che apre su una vallata di piccoli campi coltivati a fatica da vecchie contadine del piccolo paesino di Gacko. Un elemento nuovo, gigantesco, senza senso, osceno, un crimine architettonico che deturpa la purezza di questo quadro bucolico. E’ una ciminiera bestiale che si alza al centro del paese come quella della centrale nucleare dei Simpson, stessa forma, stesso colore.

Ultima notte in Bosnia

Siamo stanchi, affamati, sull’orlo dell’assideramento. Facciamo mille giri nel paese ma non c’è un solo albergo, non c’è nessuno che affitti stanze, nessuno che ci conceda qualche metro quadro di una stalla. Nella nostra stessa situazione ci sono anche 2 ciclisti italiani con cui facciamo capannello nella piazza centrale del paesino mentre consultiamo la cartina. Anche loro stanchi, infreddoliti e bagnati e abbastanza provati dalla giornata, anche loro in cerca di alloggio. Tutti abbiamo bisogno di dormire in un posto caldo, non possiamo passare la notte in tenda. Detto fatto e decidiamo di fare kilometri con le poche ore di luce che ci restano. Verso il lago Bilecko potrebbe esserci qualche paese un pelo più grande con un albergo dove dormire.

Salutiamo la coppia di italiani in bici e non sappiamo come aiutarli, visto che si trovano nelle nostre stesse condizioni ma in bici, e quindi con una velocità media bassissima. Guidiamo gli ultimi 80km su una strada stupenda, illuminata dai raggi bassi del sole colore arancio che filtra tra le fronde dei cespugli creando un gioco di caleidoscopi mentre le nuvole sono di un color azzurro ghiaccio ancora gonfie di acqua.

A Bilecka ci fermiamo esausti e per la prima volta oggi la fortuna ci viene incontro. L’ hotel Dijamant, unico albergo in città, è davvero bello e poi aprendo la cartina notiamo subito che appena sopra le colline di Mrežica alle spalle del nostro albergo forse c’è un passo con frontiera per entrare in Montenegro. Le ore di guida sotto la pioggia incessante dei balcani iniziano a farsi sentire. Muscoli del collo contratti, freddo nelle ossa, spalle e schiena in tensione. Abbiamo bisogno di una birra.


Una doccia calda per riprendere almeno la temperatura corporea. Finiamo di stendere i vestiti su qualsiasi ammennicolo sporga dal muro e in meno di un secondo in stanza aleggia un pesante olezzo di umido che sa di pelle di dita di piedi in avanzato stato di putrefazione. Usciamo e prendiamo posto nel primo ristorante che troviamo per strada. E’ quasi ora di andare a dormire quando ancora seduti notiamo due piccole luci che girano tre le strade deserte di Bilecka: sono la coppia di italiani in bici un po’ spaesati e parecchio provati dalla pedalata in notturna. Li recuperiamo e gli indichiamo il nostro stesso e unico albergo.

Eccoci in Montenegro

Facciamo colazione e carichiamo le moto e … udite udite dopo giorni di pioggia e freddo:
c’è il S O L E E E E!

Bileća – Plužine.
Frontiera Bosnia ed Erzegovina – Montenegro.
Questa storia che ci piace scegliere sempre frontiere alternative ci sta sfuggendo di mano. Non sempre è simpatico stare a chiacchierare ore e ore con gli agenti soprattutto quando di fronte ti trovi un marcantonio in divisa tutto d’un pezzo che il suo unico accenno di sorriso oscilla tra Javier Bardem di “Non è un paese per vecchi” e la protagonista di “Misery non deve morire”.


Mister sorriso prende scocciato i nostri documenti, patenti, passaporti e libretti moto. Li apre e li ispeziona con la cura meticolosa di chi sa cercare e trovare qualcosa che non va. Ora il suo sorriso è lucido come i suoi occhi che sgrana sghignazzando.
“no Montenegro, no Montenegro” ci dice mentre punta il dito sulla carta verde.

Ci accorgiamo solo ora che né io, né l’Afgano abbiamo sulla carta verde la casellina MNE segnata.
E ora a ridere sono in 2: l’agente spietato di frontiera e quel saccente del Saraceno che essendo di Milano è partito bello organizzato e con la casellina MNE segnata.
Ci dice che da lì non possiamo entrare e che l’unico modo è scendere fino alla costa, fare un’assicurazione in agenzia e solo dopo entrare in Montenegro. Gli spieghiamo che questo ci avrebbe richiesto almeno 3 giorni di viaggio e nonostante la scenata napoletana con tanto di pianto e lacrime vere lui non ne vuole sapere nulla, ci parcheggia nel container degli uffici di frontiera e se ne va.

You have 2 options, 2 options!

All’interno del container che funge da ufficio, cucina e casa per gli agenti in questo piccolo posto di frontiera ci siamo noi 3 e un altro poliziotto che ci guarda in maniera strana. Fischiettiamo e giriamo i pollici e ci diamo gomitate silenziose chiedendoci “ma quello che l’ha con noi?”.
Passano una ventina di minuti, il poliziotto si alza, guarda fuori dal container e poi ritorna da noi furtivamente e ci dice “You have 2 options, 2 options!” e fa la bocca a papera.
Continua: “One Option….” strabuzza gli occhi portandoli quasi oltre le orbite e li chiude subito dopo rimanendo sempre con la bocca a papera.
Noi aspettiamo che finisca la frase e ci dica la la “Seconda Option” … Ma nulla, lui rimane lì con gli occhi chiusi.

Iniziamo a farci qualche domanda su cosa vorrà mai in cambio. Ci frughiamo nelle tasche in cerca di soldi, ma niente, lui non fa nessun cenno. Prendiamo il telefono e proviamo a farci un selfie con lui, ma niente, lui è ancora lì con la bocca a papera.
Una goccia di sudore scende sulla fronte solo al pensiero che per uscire da quella situazione forse serve uno scambio di effusioni amorose. Io e il Saraceno guardiamo l’Afgano e gli facciamo cenno con la testa “dai dagli un bacio, in fondo la divisa ha sempre il suo fascino”.

– quello che succede nei minuti seguenti rimarrà per sempre chiuso a chiave nello scrigno dei segreti di Sporcoendurista –

Ci guardiamo attorno, in silenzio ci alziamo, ci infiliamo i caschi, ci affacciamo fuori e in un attimo siamo in sella alla moto e via. Abbandoniamo l’asfalto al primo sentiero facendo perdere le nostre tracce e perdendoci a nostra volta nella vegetazione, entrando così ufficialmente in Montenegro senza conoscere la “Second Option” dell’agente di frontiera (c’è bastata la prima), senza carta verde e, cosa molto importante, senza timbro di ingresso sul passaporto.

Nel girovagare senza meta nella parte nord-occidentale del paese attraversiamo villaggi di 4 case abitati da personaggi fuori dal tempo. Forse nessuno lo sa ma Keith Richard si è ritirato dalla scena musicale e ora vive coltivando il suo orto bio a kilometro zero in Montenegro.

Superiamo il fiume Zeta vicino Nikšić e poi con splendide sterrate panoramiche prendiamo quota per arrivare a 1300 s.l.m. e planiamo sul lago Pivsko. Scendiamo giù sulle rive del lago non appena c’è un accenno di nuvole, forse ancora traumatizzati dagli acquazzoni presi nei giorni precedenti. A Pluzine prendiamo un bungalow tutto in legno e 3 birre che ci gustiamo mentre scarichiamo i bagagli.
Quando diamo i passaporti per la registrazione la proprietaria del camping ci fa notare che manca il timbro di ingresso sul passaporto e che dobbiamo lasciare il bungalow appena occupato e segnalerà questa cosa alla polizia di frontiera.

Al volo il Saraceno sciolina con un timbro di serietà quasi ministeriale “ma come, non lo sa? Il Montenegro e l’Italia hanno appena rafforzato i loro rapporti commerciali e per favorire lo sviluppo del turismo e degli investimenti stranieri sul territorio montenegrino il visto per i cittadini italiani non serve più”

Allibiti più noi che la signora prendiamo le chiavi del bungalow e la salutaimo.

A sera la temperatura scende vertiginosamente. Ceniamo all’interno dello stanzone di legno con salsicce, zuppe e stufato che sembra di stare sulle Alpi. Il Saraceno ordina un’acqua frizzante che gli costa più delle nostre birre.

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