30 Gen Cambogia in moto
Templi di Angkor
E’ il sito più visitato della Cambogia, è il suo simbolo, il simbolo di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese.
La sagoma dei templi di Angkor è ovunque.
Sui cartelloni, nei loghi delle società, sui manifesti per strada, ritratta su migliaia di cartoline e stampata su centinaia di t-shirt.
Prima di partire ho visto foto e filmati che girano in rete, una puntata in Tv di non so che programma.
Ho consultato cartine e guide, e grazie a Google Map, mi ci ero calato dall’alto. Avevo letto la storia, e le curiosità.
Arrivato di fronte all’ingresso, quei templi li conoscevo già a memoria.
O almeno, lo pensavo.
Lo pensavo fino a quando non abbiamo costeggiato il fossato che protegge le mura di cinta dell’ Angkor Wat, scambiato a prima vista per un lago.
Arrivato di fronte all’ingresso un buco nero a inghiottire ogni mia conoscenza, ogni mia informazione, ogni immagine vista, ogni lettera letta su quei templi.
Una specie di triangolo delle Bermude a disorientare i radar cerebrali.
A mischiarmi i sensi in un pastume di stupore misto a paura e mistero.
Nulla di tutto quello che si è scritto, nessuna di tutte quelle foto scattate riesce minimamente ad avvicinarsi alla maestosità, alla grandezza, alla bellezza atemporale di questo sito.
Una forza misteriosa mi risucchia all’interno delle mura, e vengo letteralmente inghiottito in quei dieci metri di buio in cui il 2009 non riesce ad entrare, non riesce a seguirmi.
Da quella porta si accede ad un’altra era, quella dell’ Impero Khmer.
Una luce filtra dell’altro lato, è accecante, non si distingue nulla, e con gli occhi serrati e con la mano a coprirli, con passi lenti percorro quei dieci metri in apnea sensoriale.
Non so quanto tempo sia passato prima di riemergere dall’altro lato, prima di poter riprendere fiato per lo shock che si prova non appena si entra ad Angkor.
Una Bellezza amplificata dalla magia e dal mistero che si respirano nell’aria, che come patina trasparente ricopre ogni sfumatura di colore che percepisce il mio occhio.
Una Bellezza di tale impatto da lasciarmi incosciente non appena superato il portale d’ingresso.
L’ Angkor Wat, il più grande di questi templi, l’Angkor Thom, il più maestoso, il Bayon, il più affascinante con le 216 facce a guardarti da ogni lato, sono stati strappati alla giungla.
Ma nell’area del parco archeologico ce ne sono a centinaia tra templi e santuari ancora sepolti sotto uno strato di natura viva e selvaggia.
Durante il trasferimento fuoristrada ne incontreremo molti altri. E non nascondo che davanti a quelle rovine sinistre e spettrali provavo un senso di inquietudine.
Qui l’uomo sfida Madre Natura per bellezza e grandezza.
Lei gelosa, invidiosa più che per l’affronto da parte dell’uomo, per il fatto che forse questo vi sia riuscito, si riprende tutto.
Alberi, rami e radici come mani si allungano, avvolgono ogni pietra, si infilano ovunque abbattendo statue, distruggendo muri e facendo crollare torri.
E poi si richiudono avvolgendo ogni cosa, coprendo tutto con un manto di foglie, imprigionando in un carcere fatto di liane e rami e radici così fitti da nascondere ogni vestigia di quello che fu uno dei regni più grandi del sud-est asiatico.
Luigi Aronne
Posted at 01:23h, 18 OttobreChe racconto fantastico… per più di un istante ho sentito la fatica di arrancare alla cieca nel folto della giungla cambogiana ed il sollievo nel ricevere un aiuto inatteso… cazzo mi é pure venuta la voglia di una zuppa di teste di pesce!
moroboschi
Posted at 15:57h, 22 OttobreCiao Luigi
Grazie tante per i complimenti
PS
ahhh … la zuppa di pesce … cosa mi hai ricordato! Mammamia che avventura!
ciao
Jul
Posted at 00:35h, 16 AprileUn ammasso sconquassato…ahahahaahaha….cervello di cristiano sbudellato….ahahhahahaa ragazzi io sto morendo!