Da Katrie a Ban Lung
La strada di ieri, quella che costeggia il Mekong, e che da Kampong Cham c’ha portato fino a Kratie c’è piaciuta tanto, tantissimo, forse pure troppo.
E a colazione, con la mappa sul tavolo proviamo a vedere se possiamo continuare a seguirla per arrivare almeno fino a Stung Treng e poi da lì penetrare nel Ratanakiri.
Purtroppo la strada continua solo per un po’, arriva fino a Sabor e poi si perde, e sulla mappa non c’è alcun segno di altra strada, sentiero, carrareccia. Nulla.
Maledetti noi, malfidati e curiosi, che non riusciamo mai a dare retta alle mappe. E che vediamo in ogni sentiero che lascia la strada principale una magica alternative alla monotonia della certezza cartografica.
Arriviamo fino al Tempio di Sabor costeggiando il grande fiume, che si fa ancora più grande tanto che ora al centro si formano delle piccole isole verdi.
E’ in questa zona che vivono ancora dei delfini di acqua dolce, ma non siamo riusciti a vederli.
La strada inizia a restringersi fino a diventare un sentiero che come riportato sulla nostra mappa si perde nelle foresta.
Percorriamo qualche chilometro, attraversiamo qualche risaia, sbuchiamo in qualche villaggetto, attraversiamo qualche guado… insomma… solite cose.
Inizia così di nuovo la tarantella: “e proviamo di qua, e sbuchiamo di là, ma se andassimo invece a destra e poi con una deviazione risbucare a sinistra proprio vicino al centro da cui si dirama quella traccia che potrebbe portarci oltre la direzione… “
“A Federì… se semo persi di nuovo”
“… mi sa di si”
“Uomo avvisato, mezzo salvato”.
Forse è stato questo il messaggio che la Cambogia ha voluto lasciarci la notte che ci siamo persi nel Preah Vihear.
Sarà più o meno mezzogiorno, c’è luce, e facciamo in tempo a recuperare la strada principale e ad evitare un’altra notte a zigzagare nelle giungla.
Ci fermiamo ad un chioschetto con una splendida terrazza panoramica sul Mekong.
E qui un succo di noce di cocco ci sta tutto. Apprezziamo la maestria del vecchietto che taglia il guscio con il macete adoperandolo come fosse un pennello.
Accanto al nostro chiosco, un altro dove una simpatica signora ci prepara delle buonissime, e pesantissime, banane fritte con pastella di cocco, una delizia!
Ri-saliti in sella, ri-partiamo. E ci ri-fermiamo.
La moto di Fede ha perso il passacatena e la catena ora sferraglia sul forcellone.
Rimettiamoci a lavoro. Io prendo penna, moleskine e fotocamera, mentre Fede si fa un giro per vedere come riparare il danno.
Ritorna dopo un po’ tutto sorridente con in mano un rotolo di non so cosa.
Prende le misure, taglia, copia, incolla, cuci, e ribatti ed ecco fatto.
Qualche chilometro d’asfalto e poi la deviazione per Ban Lung, la capitale del Ratanakiri.
E’ uno stradone rosso, largo, polveroso e trafficato. E come se non bastasse ci sono i “lavori in corso”. Stanno tirando giù gli alberi per allargare la strada. Gli alberi non li segano, ma li abbattono letteralmente con la ruspa!
Guidare qui è una tortura, polvere ovunque.
Una polvere sottile e leggera che rimane in sospensione per molto, in pratica guidiamo in banchi di nebbia arancione.
Alla prima pausa ci accorgiamo che stiamo assumendo il tipico colore di tutte le cose che si trovano vicino questa strada: Rosso ruggine.
La polvere entra ovunque, penetra i vestiti, si impasta al sudore e una volta fermi al sole questo si asciuga in una pastella che si appiccica addosso, a pelle.
Dopo qualche minuto si secca e siamo due statuine di terracotta con casco e stivali.
Viaggiamo a velocità elevata e qualche buca nascosta ci mette in seria difficoltà facendoci saltare per qualche metro. Su una Fede prende un’imbarcata pazzesca, atterrando va a pacco e rompe il mono posteriore. A me scappa da ridere, guido e rido, rido a crepapelle, mentre Fede che mi precede di qualche metro lo sento imprecare dal casco.
Che situazione! Su questo stradone rosso che penetra il verde denso della foresta, due moto lanciate e alla guida uno che ride e un altro che impreca.
Eccoci a Ban Lung. Tutto è coperto di polvere, tutto ha quel colore rosso ruggine tipico del Ratanakiri. Prendiamo alloggio in un albergo e ci vogliono un paio d’ore e una dozzina di docce per scrostarci di dosso l’armatura di terracotta.
Dopo cena ci facciamo una passeggiata nel mercato locale. La zona più colorata è quella della frutta, la più curiosa è quella dove si mangia, dove vendono e cucinano di tutto, dal pesce alle lumache, dai molluschi alla carne ed altre cose che non siamo riusciti a riconoscere.
Ban Lung, capitale del Ratanakiri
Ci regaliamo un giorno di riposo, oggi niente moto. Stanchi noi, semi distrutte loro.
Ci sono un bel po’ di cose da vedere, ma a piedi proprio non ci siamo stare.
Ed eccoci prima in sella ad uno scooterino in giro per cascate e laghi vulcanici, dove con la scusa di qualche tuffo, approfittiamo di lavarci meglio.
E per finire, in sella ad un elefante con cui attraversiamo senza difficoltà alcuna territori impervi, e di cui ammiriamo le magnifiche qualità enduristiche. Sarà monocilindrico, o bicilindrico?!
Facciamo amicizia con “Lucky man”. Uno dei pochi vecchietti scampati al regime di Pol-Pot.
Non ha nessuno, la storia con le sue folli ideologie gli ha falciato la famiglia,i parenti, gli amici, la vita.
Fuma una sigaretta rullata con carta di giornale, ha degli occhiali alla Bono Vox o di qualche altro “impegnato” per cause civili, ma quando non fanno audience come la tragedia del genocidio cambogiano, non si sentono nemmeno alla radio.
Di una calma saggia di chi ha visto la morte.
Che racconto fantastico… per più di un istante ho sentito la fatica di arrancare alla cieca nel folto della giungla cambogiana ed il sollievo nel ricevere un aiuto inatteso… cazzo mi é pure venuta la voglia di una zuppa di teste di pesce!
Ciao Luigi
Grazie tante per i complimenti
PS
ahhh … la zuppa di pesce … cosa mi hai ricordato! Mammamia che avventura!
ciao
Un ammasso sconquassato…ahahahaahaha….cervello di cristiano sbudellato….ahahhahahaa ragazzi io sto morendo!